A brillare davvero a Italia ’90 quindi non furono i campioni e gli attaccanti, ma le difese, ma ancora di più i portieri, veri eroi di tante nazionali e nazioni in quell’inizio estate italiano.
La battaglia fra Italia ’90 e Italia-Germania 4-3, come tutti gli inizi di decennio da venti anni a questa parte, è dura anche se di poco è leggermente in vantaggio il “nostro Mondiale”. Per entrambi stanno uscendo libri, articoli, post, ma le interazioni (ho fatto un’analisi molto spicciola paragonando post sullo stesso quotidiano online per i due argomenti e la forbice è di 76 interazioni pro Italia ‘90) sembrano almeno in questa fase premiare le Notti magiche.
I motivi sono vari: prima di tutto molte più persone lo hanno vissuto e per questo vogliono parlarne e poi la nostalgia vera che ha lasciato quel Mondiale è una bava che non sfuma, mentre l’eroica Partita del secolo è vista già come una cosa tutta novecentesca, per cui molto più lontana.
Premesso questo è bene disintegrare il castello di sospirante malinconia dicendo subito che Italia ’90 è stato un Mondiale davvero terribile, soprattutto se guardiamo al calcio giocato. I grandissimi calciatori che vi hanno giocato o erano alla fine della loro parabola (Maradona al suo vero The Last Dance, il resto in seguito fu operetta per sé e per la FIFA) oppure erano troppo giovani per marchiare a fuoco quel torneo (Baggio, Savicevic, Prosinečki), o ancora mezzi infortunati, come Gullit, Van Basten e Romario. Il campione generazionale non c’era. C’era un grandissimo calciatore in grande forma che infatti vinse la Coppa, Matthäus.
Se abbiniamo a questo il fatto che era in corso una fase di trapasso storico per la tattica del gioco nella sua interezza, con il passaggio dal gioco a uomo al gioco a zona praticamente in tutti i contesti e Paesi del mondo, viene fuori un Mondiale con 115 gol in 52 incontri, con la media gol più bassa della storia per tornei a 24 quadre, 2,21 a partita, la finale più brutta di sempre insieme a quella impossibile per questioni climatiche di Pasadena e tante altre brutte cose ancora.
A brillare davvero a Italia ’90 quindi non furono i campioni e gli attaccanti, ma le difese, ma ancora di più i portieri, veri eroi di tante nazionali e nazioni in quell’inizio estate italiano. Ne ripercorriamo le gesta, in questa sorta di atlante prendendo come punti cardinali i gironi iniziali.
Il girone A aveva il miglior portiere al mondo 1989, 1990 e 1991: Walter Zenga. Siamo sempre lì, tutto quello che è stato Deltaplano (il nickname di Brera) sarà per sempre offuscato da quell’uscita in presa alta in semifinale. Però chi c’era ricorda la sicurezza confortevole che dava ai propri tifosi. Non si è mai capito se è proprio quella estrema confortevolezza ad avergli suggerito di provare ad esagerare contro Caniggia. Forse nemmeno lui lo dirà mai a se stesso. Insieme a lui da citare almeno Tony Meola, primo vero calciatore forte ed esportabile degli USA. Peccato per il mullet terribile (lascio fra queste parentesi il cecoslovacco Jan Stejskal, contro cui la Roma sbatterà nella Coppa UEFA 1995-96, uscendo con lo Slavia Praga).
Nel girone B pezzi da 90 e il migliore di tutti in quei giorni. Faccio subito due nomi stellari, Rinat Dasaev, l’unico a poter contendere lo scettro a Zenga di migliore portiere sul pianeta e Thomas N’Kono, tra le altre cose due volte giocatore africano dell’anno nel 1979 e 1982. Due portieri assurdamente diversi: il primo era il concetto della “posizione” per un portiere. La palla andava sempre dove lui era in quel momento. Il secondo era fisicità pura e selvaggia, insieme a riflessi paurosi.
Ma il portiere migliore a quei Mondiali non fu uno di questi due, ma il secondo portiere dell’Argentina, sembra folle ma è così. Pumpido si fa male contro l’URSS, entra un tale Sergio Goycochea del Racing Club e sul primo calcio d’angolo a sfavore Maradona gli para un gol già fatto. Molto probabilmente gli avrà detto: “Visto come si fa?”, perché da quel momento Sergio para tutto il parabile e oltre, portando l’Argentina fino in fondo.
Nel girone C mi tolgo il cappello perché scende in lista il mio preferito: Luis Gabelo Conejo della Costa Rica. In quei Mondiali visti da decenne mi innamorai perdutamente di lui perché era compatto come un camionista ma agile come un ginnasta, aereo come una foglia ma tosto come un mattone, aveva un coraggio strepitoso che gli permetteva le parate impossibili, quelle in cui una frazione di secondo prima ti dici è finita. E poi la faccia da sergente Garcia non è dimenticabile. Insieme a lui non c’era robetta: Taffarel, il portiere che ha dato la patente ai portieri brasiliani, prima di lui si pensava dovessero essere accompagnati da almeno tre numeri 10 sensazionali per vincere, e Thomas Ravelli, che furoreggerà ancora di più ad USA ’94 ma che anche in Italia comunque fece il suo.
Nel girone D altro parterre de rois: René Higuita, il portiere del futuro, un po’ troppo futuro anche per lui, Bodo Illgner, di cui poco si parla ma che fosse un vero campione lo si capirà poi con le vittorie con il Real Madrid, e Tomislav Ivković, di cui si parla ancora meno, ma che può raccontare ai figli, nipoti e pronipoti di aver parato due rigori a Maradona (uno con la Jugo ai quarti di Italia ‘90 e l’altro con lo Sporting Lisbona in Coppa UEFA), ma anche di essersi inserito perfettamente nella scia dei grandi portieri slavi, passando a sua volta il testimone ad altri ottimi interpreti (l’ultimo della fila, Oblak).
Non finisco gli aggettivi per i portieri di un girone che arriva un altro e devo trovarne ancora di più mirabolanti. Come definire altrimenti Michel Preud’homme, la classe assoluta fatta portiere. Prendi una sua partita e impara a muoverti in relazione alla palla e all’avversario. Questo direi oggi ad un portiere di serie A. Con lui nel girone E c’è Andoni Zubizarreta, che noi forse ricordiamo cadente alla fine degli anni ’90, dimenticando la bravura soprattutto nel guidare la difesa e nell’essere un jefe per la sua squadra.
Infine il girone F, in cui c’era ancora il 40enne Peter Shilton, non solo perché in Inghilterra c’erano pochi prospetti ma perché la sua leadership era difficile da sostituire. Altro che puntava sulle stesse skills e divenne un vero e proprio eroe nazionale fu Pat Bonner, che aveva la faccia perfetta per interpretare James Bond, tanto che in un film fu preso a modello di rivincita sociale
Fu un Mondiale esaltante per chi lo ricorda con la malinconia dell’allora o per chi ha visto spappolarsi o avversarsi i propri desideri. Ma se guardiamo alla mole di campioni di un 1982 o di un 1998, è giusto riparametrarlo e considerarlo un torneo di transizione. Restano però i numeri 1. Mai più in un unico contesto si sfidarono così grandi portieri, ancora oggi ricordati per le meraviglie portate sul campo di calcio.