Viaggio alla scoperta della Macedonia del Nord

Mentre cresce l’attesa per l’Europeo abbiamo provato a capire qualcosa in più su una repubblica da 2milioni di abitanti che vuole ritagliarsi un posto al sole

 

La vittoria in casa della Germania e la qualificazione agli Europei di calcio hanno messo la Macedonia del Nord sulla mappa del calcio continentale. Per la prima volta da quando il Paese ha ottenuto l’indipendenza dalla Jugoslavia nel 1991, la sua rappresentativa parteciperà alla fase finale di una competizione sovranazionale. La Macedonia del Nord è riuscita a staccare il pass per l’Europeo 2021 grazie a uno dei quattro posti riservato alla Nations League: nell’ultima e decisiva partita ha espugnato il Boris Paichadze di Tbilisi, grazie a una rete dell’eterna bandiera Goran Pandev.

“La nazionale della Macedonia è l’evoluzione di quella che nel 2017 giocò l’Europeo Under21”. Branko Kazakovski è un giornalista sportivo macedone e insieme a lui abbiamo provato a ripercorrere le tappe che hanno portato la squadra al più importante traguardo della sua storia. Già  allora la rappresentativa poteva contare su Enis Bardhi, Visar Musliu, Gjoko Zajkov e Darko Velkovski. C’era anche Elif Elmas, che non giocò le qualificazioni  perché troppo giovane, ma fu convocato, ancora 17enne, per la fase finale in Polonia.

“Forse questa non è la miglior nazionale della storia della Macedonia. Quella del 1993, con Darko Pancev, Ilja Najdoski e MilkoǴurovski, fu probabilmente la migliore selezione che il nostro Paese abbia mai avuto. C’erano molti giocatori che giocavano all’estero e due di loro erano stati campioni d’Europa con la Stella Rossa. Ma la squadra di oggi ha una chimica differente”. E tutti gli indizi per individuare l’artefice di questo risultato sportivo portano all’allenatore Igor Angelovski. “Prese la squadra che eravamo 164esimi nella classifica della FIFA, avevamo il morale bassissimo e i risultati erano devastanti. Lui ripartì dai giocatori dall’Under21, che erano abituati a vincere e a giocarsela con tutti”. Il cambio di mentalità è sotto gli occhi di tutti. Il coach dei balcanici ha affiancato i giovani ai giocatori che erano nel giro della nazionale da 10 anni, trovando la giusta alchimia fra le diverse componenti della squadra. “Una delle cose che preferisco di Angelovski è che lui ha una squadra di 18 persone: giocatori dei quali si fida e che sono sempre convocati. Fa solo piccoli cambiamenti, magari convocando qualche giovane dall’Under21 o dal campionato nazionale, ma il gruppo è sempre quello”. Questo ha dato sicurezza e tranquillità alla rosa.

Ma come giocherà la Macedonia del Nord all’Europeo? Il portiere sarà Stole Dimitrievski, che gioca in Spagna nelle fila del Rayo Vallecano. La difesa sarà a quattro con “a destra, Stefan Ristovski, che gioca per la Dinamo Zagabria, dopo diverse stagioni allo Sporting Lisbona, dove è stato anche capitano”. Il terzino è, insieme a Pandev, il giocatore più influente dello spogliatoio e uno di quelli con più esperienza. È passato anche dall’Italia e in particolare da Parma, Bari e Crotone. “I due centrali saranno Velkovski e Musliu. A sinistra giocherà Ezgjan Alioski del Leeds. La fase difensiva del centrocampo sarà affidata a Bardhi e ad Arijan Ademi della Dinamo Zagabria. Nato a Sebenico sulla costa dalmata, ha giocato in tutte le giovanili croate prima di sposare la causa macedone nel 2014. “E’ difficile immaginare se l’allenatore sceglierà un’unica punta o se gli affiancherà Nestorovski”. A sinistra poi giocherà Elmas del Napoli. A destra è un po’ difficile immaginare il titolare, probabilmente sarà Aleksandar Trajkovski, in forza al Maiorca, dove però non sta giocando molto. Poi ovviamente Goran Pandev.

“Posso dirti che tutti, quando lo vedemmo esordire in nazionale, capimmo che sarebbe diventato una grande stella. Per noi macedoni lui è grande, ma non immaginavo quanto fosse apprezzato e rispettato anche in Italia. Fa impressione pensare che tanta gente nl vostro Paese lo ami e lo apprezzi come facciamo  noi in Macedonia”. Goran Pandev è un simbolo per il calcio macedone e per tutto il paese . In patria ha investito molte risorse per sviluppare il calcio, partendo dal suo club, l’Akademija Pandev, per il quale ha costruito il centro allenamenti a Strumica, che è la sua città natale. “Un sacco di giocatori della nazionale lo guardano come un idolo, giocano con il cuore anche per lui e grazie a lui. Essere al fianco di Pandev è una motivazione, perché è un Campione d’Europa che gioca con loro”.

 

Un Paese poco conosciuto

Ovviamente la qualificazione all’Europeo ha posto il calcio in alto nei pensieri del popolo macedone. Ma nel Paese il pallone non è lo sport più seguito. Il cuore della gente di Skopje batte infatti molto più forte per la pallamano. “Il Vardar è stato per due volte campione d’Europa” mi racconta Marko, un serbo-macedone molto appassionato di sport. “In questo momento la squadra nazionale non è fortissima, perché è in corso un cambio generazionale. Della vecchia generazione è rimasto solo Lazarov, che è il più famoso sportivo del paese”. Più di Pandev? “Kiril Lazarov giocava per Ciudad Real e Barcellona e oltre a vincere trofei con questi club era anche il loro miglior giocatore”. Dopo la pallamano ci sono il calcio e la pallacanestro allo stesso livello. “Oggi abbiamo la nazionale di calcio che partecipa all’Europeo, ma nel 2011 c’era la nazionale di pallacanestro che era quarta all’Europeo. In quel momento fu una grande sorpresa per tutti”. Chi segue il basket non può non ricordarsi di Pero Antić con la canottiera giallorossa della Macedonia.

Ma lo sport non è l’unico aspetto della società macedone che viene quasi interamente ignorato in Italia. Il Paese, infatti, pur avendo soltanto due milioni di persone, offre un’importante mescolanza etnica. I due gruppi principali sono quello macedone e quello albanese, che da sempre costituiscono la spina dorsale del Paese ma che non sempre hanno vissuto in pace e nella reciproca comprensione. Oggi l’albanese è una delle due lingue costituenti insieme al macedone, e sono stati compiuti alcuni passi verso l’uguaglianza delle due etnie.

“La tensione e la divisione etnica si sentono”, mi racconta Arian, macedone di etnia albanese, nato e cresciuto a Skopje. Parla perfettamente italiano perché è tifoso della Roma e imparare la nostra lingua era l’unico modo di avere notizie sulla sua squadra del cuore in un periodo pre-social network. “Dipende molto dalle dinamiche politiche di quel momento, non so se rendo l’idea. Nella vita quotidiana, se tu sei un macedone e io sono un albanese e ci incontriamo in giro per la città. Non c’è nessun problema. Però quando sei nel tuo gruppo, con altri macedoni o altri albanesi, non è strano sentir parlare male degli altri”. Il problema spesso è anche di carattere socio-economico, “Io, pur essendo albanese, sono cresciuto con tanti macedoni, ho studiato in lingua macedone sin da quando avevo 6 anni e personalmente non sono mai stato discriminato o aggredito. Però se sapevi a che cosa fare caso, la potevi sentire questa discriminazione, che era più una percezione che tu non eri di qua, che eri sempre ospite, che non facevi parte del gruppo”. Dal punto di vista numerico, l’ultimo censimento si è svolto nel 2002 e riportava che il 66% della popolazione era macedone, mentre il 25% albanese. Il restante era diviso fra gruppi minoritari. Tuttavia nel corso di vent’anni la demografia potrebbe essere molto cambiata, ma non si è riusciti a portare avanti un nuovo conteggio e, forse, solo nel 2021 si otterrà una fotografia più credibile.

Altri gruppi minoritari sono quello turco, dal quale arriva Elmas (chiaramente un lascito dell’Impero ottomano) o quello aromeno. “Sono nato a Kruševo, una piccola città, e sono di origine Valacca/Arumena. La mia famiglia è immigrata dall’Epiro, in Grecia, 250 anni fa, e si è stabilita qui”. Mi racconta Zoran Kardula, un artista macedone, che vive a Skopje ma ha origini nel Sud del Paese. Gli arumeni sono un popolo latino, con una lingua di discendenza latina che si chiama maglorumeno, che è simile al rumeno e fa parte delle lingue latine balcaniche. Secondo alcune teorie, i Valacchi sono discendenti diretti della 5a Legione Romana, da cui deriva lo stesso nome “Arumeni”. Questa popolazione è presente in molti paesi balcanici, in Grecia, Austria, Germania e Ungheria. Come ogni minoranza che non ha una propria nazione, solo una parte molto piccola di essa parla la lingua, ma recentemente si sono formate molte società culturali che cercano di tenere in vita la cultura e la lingua valacche.

Ma parlando di Macedonia non si può non fare i conti con un’eredità jugoslava, che è spesso riscontrabile nella fisionomia delle città, ma anche e soprattutto nella mente delle persone, soprattutto di quelle che al momento della dissoluzione avevano almeno vent’anni. “La Jugoslavia come mia patria passata ha lasciato un enorme segno nella mia vita”. Ci racconta Zoran. “E’ un paese che non esiste più e ha avuto una fine terribile e devastante, ma non è il momento di parlarne. Quando io dico “jugoslavo”, intendo lo spirito con il quale siamo cresciuti, lo spirito di fratellanza e unità, coesistenza, tolleranza, giustizia e responsabilità sociale. Ed è ancora un meraviglioso ricordo e una grande nostalgia per una larga parte della popolazione che oggi vive nella ex Jugoslavia. Non era un paese ideale, come qualsiasi società aveva difetti e problemi, ma era comunque migliore rispetto a quello che abbiamo ora”. Il tipo di valori in cui si identificava la società jugoslava sono molto cambiati al giorno d’oggi e non è sempre facile manifestarli nell’attuale Macedonia. “Nei miei progetti prevalgono elementi e messaggi di sinistra, che fanno riferimento al passato jugoslavo. Durante il periodo in cui il partito di destra era al potere in Macedonia, e avevamo letteralmente un regime, non era facile. Io e la mia famiglia siamo stati oggetto di varie minacce per il mio lavoro e per i messaggi che ho diffuso con il mio design”.

La Macedonia oggi sta vivendo una situazione molto complessa. Ha recentemente cambiato il proprio nome, in quanto la Grecia aveva imposto tale passaggio per non porre veti all’ingresso di Skopje nell’Unione Europea. Quindi lo stato che tutti chiamavamo Macedonia, ma che in realtà si chiamava Fyrom (Former Yugoslavia Republic of Macedonia), è diventato Macedonia del Nord. Finiti i problemi? Neanche per sogno, perché il vicino bulgaro ha dichiarato che non avrebbe accettato la Macedonia in Unione Europea, se quest’ultima non avesse riconosciuto che la propria lingua altro non è che un dialetto di ciò che si parla a Sofia. Insomma, mentre internamente si pacificava il rapporto con la minoranza albanese, arrivavano dall’esterno continue prove per la Macedonia. “La famiglia di mia nonna – ci racconta Dimitar che oggi vive a Milano – è originaria di Ani poroia, un paese che oggi si trova in Grecia. Sono scappati per sfuggire alla grecizzazione delle loro usanze e dei loro nomi. Avevano dei parenti dall’altra parte della catena montuosa della Belasica е si sono trasferiti a Kolarovo. Stessa cosa per la famiglia di mio nonno materno”. Poi arrivò il censimento del dopoguerra e scrivere “macedone” divenne impossibile: tutti erano bulgari. Ma che cosa lega un bulgaro che vive in Italia alla Macedonia? “Per me Macedonia significa casa. E’ il luogo dove sono nato e cresciuto. Sono le canzoni popolari che ascoltava mia nonna su Radio Strumica (allora in Jugoslavia). Certamente i macedoni di oggi non sono i macedoni di Filippo e Alessandro, ma non sono neanche bulgari, come sostengono i politici nazionalisti di Sofia e, purtroppo, gran parte dei bulgari. Non sono neanche dei “serbi del Sud”, come vorrebbero gli scissionisti serbi. I macedoni sono tutte quelle persone che sono nate nel territorio che va a nord dai monti Pirin e Rilafin giù al Mare Egeo, a ovest fino al lago di Ohrid e a est fino a Xanthi in Grecia. La mia Macedonia ideale è nella mia testa, quel sogno oggi e diviso in tre Paesi. Spero solo che un giorno non ci saranno più frontiere a dividerci”. Potrebbe bastare ad inquadrare il sentimento personale di chi vive così lontano da casa, ma Dimitar ha un ultimo pensiero: “Non mi interessa come si chiamerà lo stato dove sono nato e cresciuto. Bulgaria, Macedonia o Grecia. Io vorrei solo essere libero di proclamarmi quello che mi sento, di leggere e scrivere nella lingua che voglio. Vorrei che il folclore e la storia dei miei avi non dovesse cambiare ogni volta che cambia un regime”.

“Io non riuscivo a capire perché un paese come la Grecia ce l’avesse con noi e ci bullizzasse. Non capivo perché qualcuno più forte, più antico e con una cultura più grande della nostra, già parte della UE, facesse qualcosa del genere contro un piccolo paese, con una piccola popolazione”. Sono le parole di Rumena Bužarovska, scrittrice e intellettuale macedone, tradotta anche in italiano dalla casa editrice Bottega Errante Editore. Questo sentimento di frustrazione ha avuto ripercussioni deleterie sui macedoni, in quanto si è creato un immaginario collettivo, che è andato a ripescare simboli di un “passato antico e aggressivo, machista e patriarcale, fondato sulla guerra. Io lo detesto e tutto questo si può vedere con ciò che è successo con Skopje 2014, che è una manifestazione di questo tipo di follia”. Con Skopje 2014 si intende un progetto portato avanti dal governo nazionalista del Vmro-Dpmne, che mirava a dare alla capitale un aspetto classicheggiante, in modo da poter mostrare al mondo quanto il Paese di oggi fosse nient’altro che l’erede diretto della grande storia degli antichi macedoni. Bužarovska ci tiene però a metterci in guardia contro facili letture: la situazione attuale, non è frutto solo dell’oggi. “Questa visione patriarcale e maschilista, in qualche modo è stata accresciuta dal socialismo. Il socialismo ha dato per la prima volta alle donne il diritto di votare – anche se solo per un partito – e quello di lavorare. Il problema è che le donne facevano due lavori, uno fuori, come gli uomini, e uno in casa, dove dovevano prendersi cura dei bambini, cucinare, pulire e fare tutto, ovviamente non pagate”. Dalle parole e dalle opere di Bužarovska, la Macedonia non sembra quindi essere un posto per donne, eppure qualcosa si sta muovendo e in una direzione abbastanza interessante: “le cose stanno cambiando rapidamente. Se vedo come stavamo dieci anni fa, e vedo le ragazze di oggi, noto una grande differenza. In primo luogo, sono aumentate le informazioni che queste donne possono ricevere. Violenze sessuali, discriminazioni sui posti di lavoro etc. sono argomenti al centro del dibattito. Inoltre queste giovani hanno oggi il supporto delle donne più grandi – come me. Dieci anni fa, le donne più grandi ci odiavano”. Ed è in questo contesto che si stanno muovendo fenomeni globali come il “Metoo” e le conseguenti proteste. “C’è un forte movimento femminista nel Paese, molto legato, dove le donne lavorano fianco a fianco e il governo dovrà sempre più ascoltare queste istanze”.

Tornando al calcio, la Macedonia si appresta ad affrontare un girone impegnativo, ma anche la recente vittoria in Germania ci dice che niente è già scritto. “La cosa più importante è che noi ci siamo qualificati, e siamo felici di questo. A essere onesto, io non ho neanche mai sognato che la Macedonia potesse qualificarsi agli Europei, o a un Mondiale. Mai”. Il messaggio di Branko è chiarissimo. La spedizione dell’Europeo 2021 è già una benedizione per tutti i macedoni. “La cosa di cui posso essere sicuro, nonostante i nostri limiti, è che non ci arrenderemo per tutti e novanta i minuti. Giocheremo un calcio di cuore, con grande impegno, e se le altre squadre saranno migliori alla fine vinceranno. Lo sport funziona così”.

Anche Marko la pensa allo stesso modo. Alla domanda se si sente serbo o macedone, lui che viene da una famiglia mista, e per chi farà il tifo, risponde che si sente jugoslavo e che è molto contento che dopo trent’anni di Macedonia, la squadra sia riuscita a qualificarsi per la prima volta. “Questa nazionale di calcio è un buon esempio di come diversi gruppi possano convivere per il bene di tutti. Hanno lavorato per loro stessi, ma anche per la nazionale. E questo dev’essere un esempio”. Arian prova a spiegarci la posizione dei tifosi albanesi: “Gli ultras seguono la nazionale albanese, mentre il tifoso ‘normale’ va a seguire anche la nazionale macedone. Tanti vanno alla partita, ma spesso non per identificazione o orgoglio nazionale. Vanno perché sono amici dei calciatori o amici degli amici. Nella comunità albanese è ancora tabù seguire le partite per orgoglio nazionale, però le cose stanno migliorando piano piano”. Come detto in precedenza il rapporto interno fra le due comunità sta lentamente trovando una via di convivenza abbastanza incoraggiante. “Prima non era così. Quando da bambino andavo allo stadio a vedere la Macedonia con mio padre, non c’erano tanti albanesi, anche perché si sentivano tanti cori contro la nostra etnia. Oggi la cosa è un po’ migliorata, anche se ogni tanto si sente ancora qualcosa”. Ma insomma Arian per chi farà il tifo agli Europei 2021? “Per l’Italia – ride -, ma davvero io ho sempre tifato per l’Italia, perché l’Albania non si qualificava mai. Alla Macedonia auguro il meglio, ma senza esagerare. Perché anche se non hanno possibilità, la Grecia del 2004 ci insegna, che non si sa mai”.

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