Lo spostamento della sede spagnola da Bilbao a Siviglia ha cambiato radicalmente l’umore della nazionale iberica, che passa da un territorio ‘nemico’ a uno da sempre a essa favorevole.
Tra i Paesi Baschi e l’Andalusia non c’è solo quasi tutta la penisola iberica a fare da cuscinetto, bensì una serie di differenze culturali che rendono questi due luoghi l’antitesi l’uno dell’altro, nel macro contesto spagnolo. Il calcio, ovviamente, non è esente da queste dinamiche, soprattutto se parliamo della Roja. Odiata in riva all’Atlantico e idolatrata sulle sponde del Guadalquivir, la nazionale spagnola ha accolto con un sorriso la modifica ultima del proprio avamposto per la fase a gironi del prossimo euro. Anni fa, quando la candidatura delle sedi per il torneo itinerante era stata definita, l’allora presidente della federazione spagnola Angel María Villar aveva insistito per giocare al San Mamés di Bilbao, uno stadio nuovo di zecca e funzionale ai massimi livelli. Nato proprio nel capoluogo della Biscaglia, Villar ha reincarnato il prototipo dell’ex calciatore che, dopo l’addio del franchismo, non si è mai sbilanciato in maniera decisa verso la squadra per la quale aveva giocato, ossia l’Athletic Club, provando a fomentare un’idea di unione spagnola a livello di tifo che non ha mai davvero attecchito. Accusato di corruzione e da molto fuori dal sistema calcistico iberico, il basco era riuscito comunque a convincere il suo ex club a concedere il glorioso stadio di una squadra da sempre opposta al governo centrale per le partite casalinghe della Roja in occasione del tanto atteso europeo itinerante.
Tifo contro
Negli ultimi anni i tifosi locali si erano però già preparati all’evento. Ultras organizzati di Athletic Bilbao, Real Sociedad, Eibar e Osasuna, le principali realtà calcistiche della parte abertzale (nazionalismo basco) di una macrozna che comprende anche la Navarra, avevano organizzato ultimamente alcuni incontri volti a organizzare una vera e propria guerriglia stradale durante i giorni in cui la squadra di Luis Enrique avrebbe giocato a San Mamés. Che fosse stata o meno consentita l’entrata allo stadio, l’obiettivo dei tifosi locali era semplicemente quello di creare un clima ostile alla rappresentante calcistica dell’oppressivo stato spagnolo, colpevole secondo loro di avere da sempre avuto la mano dura in Euskadi, soprattutto negli anni ‘70. L’ultima volta che la Spagna aveva giocato sulle rive di una Bilbao industriale e ancora molto grigia fu nel 1967, in piena epoca franchista, in occasione di un match di qualificazione agli europei dell’anno successivo contro la Turchia. Intervistato per commentare la situazione, l’ex allenatore dell’Athletic e della selezione spagnola Javier Clemente aveva esclamato: “Mi piacerebbe molto che i tifosi applaudano e sostengano la nazionale spagnola. È importante per Bilbao che la nazionale si senta protetta a San Mamés perché il calcio non è politica. E onestamente non vedo nulla di polemico nel fatto che la Spagna giochi a San Mamés”. Le sensazioni in loco, tuttavia, erano ben diverse, come dimostrato dalla tensione generata dai supporter delle squadre locali e i loro propositi ribelli.
Casa Siviglia
La scelta di puntare su Siviglia, e sullo stadio della Cartuja gestito principalmente dalle autorità locali, è stata immediata da parte di Luis Rubiales. L’attuale presidente della federcalcio spagnola aveva lasciato già trapelare che il capoluogo andaluso sarebbe stato il prescelto in caso di dietrofront da parte della UEFA riguardo San Mamés, il quale avrebbe perso il suo privilegio per non poter assicurare la presenza di pubblico allo stadio. Dopo aver così assegnato allo stadio della periferia sivigliana la finale di Coppa del Re di quest’anno, la federazione spagnola ha così sigillato un altro importante accordo con il governo andaluso, grazie al quale è riuscito così a mantenere il guadagno economico di circa tre milioni di euro con la UEFA per mettere a disposizione uno stadio come sede del torneo continentale.
La decisione di puntare su Siviglia è stata un win-win per Rubiales, il quale aveva ereditato la sciagurata scelta di Villar di puntare su Bilbao ed è riuscito abilmente a trasferire tutto agli antipodi, dando così un vantaggio enorme dal punto di vista emotivo e morale a Luis Enrique, il quale avrà dalla sua uno stadio totalmente dedito e appassionato, una situazione totalmente opposta a quanto sarebbe dovuto accadere in Euskadi.
La dicotomia spagnola Sud- Nord, che ha in Siviglia e in Bilbao i due grandi poli rappresentativi, come illustrato anche nel famosissimo film ‘Ocho apellidos bascos’, trova così la sua sublimazione anche nel calcio. Dal grigio, piovoso e industriale Nord la nazionale spagnola si trasferirà nel soleggiato, allegro e scanzonato Sud, casa di capitan Sergio Ramos, il quale però vive una relazione complicata con la tifoseria del Siviglia, la squadra del suo cuore e nella quale si è formato. Nonostante il quartier generale resterà quello di Las Rozas, nella periferia di Madrid, poter disputare le tre partite del girone e un eventuale ottavo di finale alla Cartuja, non solo rappresenta un sospiro di sollievo a livello di possibili dimostrazioni di astio sociale, ma potrebbe anche dare una marcia in più agli uomini di Luis Enrique. Il tecnico asturiano, che da quando ha preso in mano le redini della nazionale non sembra ancora aver trovato del tutto la quadra, soprattutto dal punto di vista della concretezza offensiva, potrebbe aver trovato nella soluzione logistica del suo amico Rubiales un grande e inaspettato alleato per essere protagonista in una competizione nella quale dopo tanto tempo la Roja indossa i panni dell’outsider e non della corazzata.
Quella Siviglia che da sede della famosa Compagnia delle Indie tolse nel sedicesimo secolo molti privilegi ai porti marittimi dei paesi baschi, sarà adesso la casa di una nazionale da sempre squarciata all’interno da tanti movimenti culturali distinti. E, chissà, magari anche il feudo di una nuova conquista continentale spagnola.