Come il Divin Codino ha ridefinito il concetto di meraviglia
C’è una cosa che Roberto Baggio ha saputo fare più e di sicuro meglio degli altri: meravigliarci.
Baggio non era continuo, ma è proprio questo che richiede la meraviglia, l’elemento inatteso. Baggio non era sempre efficace, ma anche in questo caso ricadiamo nella meraviglia, che ci sospende e ci libera, anche quando non accade quello che vogliamo. Baggio non era comprensibile, né per gli allenatori che spesso lo hanno messo in un angolo e a volte nemmeno per noi che volevamo come sempre e solo vincere la partita, ma la meraviglia è una scelta che si fa per se stessi e solo in un secondo momento si finisce per condividere.
Definendo Baggio come il giocatore più meraviglioso che gli occhi hanno visto e la mente ricordi, ecco cinque meraviglie pescate quasi a caso, che è bene tirare fuori dal cassetto oggi che Roberto compie gli anni.
Udinese – Juventus 1994
Il 2/1/1994 si gioca a Udine e Baggio segna prima un gol di tacco alla Bettega e una seconda rete che ancora oggi mi fa venire il mal di pancia, quel mal di pancia che ti viene quando ti accorgi della bellezza delle cose. Baggio corre con tutta la veemenza che ha verso la fascia sinistra, per una palla che si è lanciato da solo in quel punto del campo. A inseguirlo con la stessa furia è Stefano Pellegrini. Arrivano entrambi sul pallone e Roberto, con un solo movimento di anca, ginocchio, caviglia e alluce accarezza (accarezzare è troppo semplice per spiegare come tratta quel pallone, lo accompagna dolcemente, lo prende per mano, lo sostiene, gli fa capire chi davvero deve amare, si espone, forse si commuove anche pur di convincerlo a seguirne il percorso), dribbla Pellegrini che struscia sul suolo, scomparendo dall’inquadratura. Sì, poi ne dribbla un altro e appoggia in rete con classe ma il bello era già arrivato.
Il tiro dell’1-1 di Baggio visto con la visione classica, dalla telecamera in tribuna sembra un bellissimo gol, un bel tiro di controbalzo che va a insaccarsi quasi all’incrocio dei pali. Poi però vedi il replay da dietro la porta e resti con la bocca aperta. Per colpire quel pallone in quel modo Baggio deve contorcere il corpo in modo che il collo del piede destro lo schiaffeggi dall’esterno verso l’interno, dandogli però anche forza e precisione. Sono tre elementi che non dovrebbero stare insieme se calci in quel modo, eppure Baggio ci riesce, indirizzandolo precisamente dove Zenga non poteva prenderlo. Non è un calcio al pallone, è un articolo che dovrebbe andare su “Nature”.
Pirlo lancia lunghissimo. Roberto Baggio scatta sul filo del fuorigioco e con un solo movimento di caviglia destra stoppa la palla, dribbla Peruzzi e si spalanca la porta per appoggiare di sinistro. La cosa che deve restare per sempre non è solo la bellezza tecnica del gesto, ma la purezza. Baggio accompagna la palla con il destro al volo e poi non la ritocca per dribblare Edwin Van Der Sar, vuole che le cose accadano per sottrazione, non aggiungendovi troppi tocchi, togliendo magia. L’unico altro momento sportivo del genere è quando Foreman barcolla a Kinshasa e Alì non lo colpisce ancora una volta per spingerlo ad andare giù, ma semplicemente attende che il destino si compia.
Quello che abbiamo descritto sopra, ovvero la purezza del destino che si compie, sembrava avere un intoppo il 9 luglio 1994, quando l’Italia affronta la Spagna ai quarti di finale del Mondiale americano. All’88’ Signori in spaccata volante serve Baggio che dribbla con il solito tocco unico e definitivo Zubizarreta. Sarà per la stanchezza, per il caso, per l’umidità, sarà perché il destino aveva deciso così, ma Baggio dopo aver superato il portiere ritocca il pallone, quasi incespicando. Quel tocco non solo imbruttisce il quadro diafano che Baggio sempre componeva, ma lo fa allargare, così che centrare la porta diventa più difficile. E invece, ancora una volta la caviglia destra di Baggio fa il miracolo. Deve lanciarsi sul terreno per storcere al massimo caviglia e traiettoria. Ma per nostra fortuna ci riesce e ci porta in semifinale.
Triangolo chiesto a Kennet Andersson che però alza una palla a campanile in mezzo all’area di rigore. Lì ci sono due che sfiorano i due metri, Smoje e Sebastiano Rossi. Baggio si apposta fra i due e non va al contrasto fisico col difensore che è molto più grosso e potente. Gli mette però un piede intorno al corpo, lo avviluppa in una spira incandescente e il povero difensore croato non vede più il pallone, guardandosi intorno come se fosse sull’R2 a Napoli e scendendo cercasse il portafogli. Questo stop al velluto senza vedere la palla fa sì che la stessa arrivi a disposizione del destro di Baggio che fulmina Rossi.
Questi sono solo cinque momenti di meraviglia, ma tanti altri ne ha disseminato Baggio in giro nei suoi anni burrascosi e indimenticabili. Un consiglio per chi c’era e chi no. Riguardateli appena potete, perché c’è sempre un dettaglio nuovo che rende il già visto ancora una volta sublime.