Essere gruppo, diventare Mannschaft

4 luglio 1954, Ungheria e Germania Ovest si giocano il titolo mondiale. I magiari sono favoriti, per i tedeschi è già un’impresa essere arrivati alla finalissima. I bianchi provano a opporsi alla squadra più forte del mondo puntando su grinta, tenacia e atletismo. Ecco servito il Miracolo di Berna

Anche per il calcio la fine della Guerra ha rappresentato l’anno zero. Oltre al resto, bisogna rimettere in piedi anche il fußball. Specie ora che di “Germanie” ce ne sono due. La formazione Federale può contare su Josef Herberger. Lui non si sente l’allenatore della Nazionale di un Paese dimezzato, anzi vive il compito come una missione di vita. Dal 1947 al 1950, il trainer insegna presso la Nuova Università Sportiva di Colonia, dove tiene corsi per allenatori. La docenza è un successo e intorno alla sua figura il calcio nazionale prende subito vigore. Così Herberger seleziona le migliori energie in circolazione. I talenti sono valorizzati grazie a vivai e a osservatori attenti a scoprire volti nuovi, piedi buoni e polmoni d’acciaio.

Tra le promesse c’è Fritz Walter, giovane punta del Kaiserslautern. Non sarà altissimo ma di testa, gol ne fa. Non sarà un panzer ma si fa rispettare. Un’intera carriera con la maglia della squadra renana parla chiaro: 384 apparizioni e 327 reti, 33 gol in 61 presenze con la Mannschaft. Fritz ha un fratello di nome Ottmar, anch’egli punta. Per dare forza a un attacco ancora un po’ acerbo, Herberger affianca ai due Walter la velocità di Rahn e la concretezza di Morlock. L’avversaria più forte è l’Ungheria. Da anni i magiari non perdono una gara nemmeno a farlo apposta: affrontarli significa esporsi al ridicolo.

Nel frattempo la Germania Ovest avanza a fari spenti e il pomeriggio del 16 giugno 1954 ha inizio la V edizione dei Mondiali di Calcio. Herberger è pratico, realista. Sa di non avere a disposizione la squadra più forte. Tuttavia sa anche di poter contare sui suoi uomini e di dover procedere per tappe. Si tratta di superare il primo turno, nel girone della Germania Ovest c’è l’Ungheria e accedere ai quarti di finale “a braccetto” non è semplice. Le altre due contendenti sono Turchia e Corea del Sud. Il tecnico ungherese Gusztav Sebes mette in campo la sua macchina da guerra e il risultato con la Corea del Sud è devastante: 9-0.

Tocca alla Germania Ovest, che supera per 4-1 la Turchia. Il 20 giugno tedeschi occidentali e ungheresi escono in contemporanea dal tunnel dello stadio di Basilea. Stravince l’Ungheria per 8-3, ma l’infortunio di Ferenc Puskás (un’entrata da codice penale dello stopper Liebrich) pesa più di quel successo. Senza Puskás manca il risolutore. Nel frattempo i tedeschi devono giocare lo spareggio con la Turchia. Finisce 7-2 per la formazione di Herberger. Il quadro dei quarti di finale è completo: le 16 squadre iniziali sono diventate 8 e si dimezzeranno ulteriormente. Gli accoppiamenti sono: Austria-Svizzera, Uruguay-Inghilterra, Jugoslavia-Germania Ovest e Ungheria-Brasile. In semifinale andranno l’Austria, l’Uruguay, la Germania Ovest e l’Ungheria. Con la Jugoslavia va tutto bene, finisce 2-0 per la Mannschaft.

Nella parte occidentale l’entusiasmo è alle stelle, a ogni vittoria la gente scende in piazza e i tedeschi riscoprono il proprio spirito nazionale. Non è con il calcio che un popolo va in Paradiso o dimentica un tremendo passato, ma con i risultati sportivi si può costruire un futuro. La semifinale con l’Austria è una sorta di derby. Fin qui la Germania Ovest è stata fortunata perché ha potuto evitare le sudamericane (l’Ungheria dovrà affrontare prima il Brasile ai quarti, poi in semifinale l’Uruguay, in due battaglie calcistiche combattute e vinte senza Puskás) ma rispetto all’inizio il gioco di squadra è migliorato. Finisce 6-1. Dal Mare del Nord alle Alpi Bavaresi l’entusiasmo è alle stelle. Alla fine anche l’Ungheria ce l’ha fatta: contro i campioni in carica dell’Uruguay ci sono voluti i tempi supplementari ma è andata. La squadra tuttavia è stanca. Senza Puskás le soluzioni offensive si riducono e la difesa accusa a volte gravi cali di concentrazione. Tuttavia rimane la grande favorita.

Domenica 4 luglio 1954. Escono dagli spogliatoi dello Stadio Wankdorf di Berna 22 giocatori seguiti da rispettivi staff e riserve. Sono le 5 di pomeriggio e l’arbitro, l’inglese Ling, si dispone assieme ai guardalinee per gli inni nazionali. Maglia rossa per l’Ungheria, bianca per la Germania Ovest. Piove. Sebes ha recuperato Puskás. Il fuoriclasse non è in buone condizioni ma anche con una gamba è sempre un attaccante di qualità superiore. In campo c’è Liebrich, il difensore che gli aveva distrutto una caviglia nel primo turno.

Dunque “il divino Ferenc” deve stare molto attento ai contrasti e già da come cammina sembra insolitamente timido. Sembra l’inizio di una carneficina sportiva perché dopo sei minuti l’Ungheria ha già fatto gol. In mischia Puskás riprende una palla vacante in area dopo un tiro di Kocsis deviato da Liebrich e di sinistro mette in rete. L’autore del gol esulta, ma fa fatica perfino a gioire. La verità è che non dovrebbe essere in campo, ma in quel momento in tutta l’Ungheria esplode troppa gioia perché qualcuno ci faccia caso. E la gioia si amplifica di volume quando tre minuti dopo i magiari raddoppiano. Il gol è di Czibor, pronto ad approfittare di un’incertezza pesante del portiere Turek. Sembra fatta, ma la certezza del risultato dura tre minuti scarsi. La difesa è da sempre la parte vulnerabile della squadra di Sebes e Morlock è una volpe dell’area di rigore. Zakariás lo deve tenere a bada, ma non è nemmeno fortunato. Un suo retropassaggio verso il portiere Grosics si inchioda letteralmente su una pozzanghera, Morlock è il primo ad arrivare sul pallone in scivolata e a metterlo in porta. 2-1 e la partita è riaperta.

Rispetto all’8-3 di due settimane prima, Herberger ha trovato le giuste contromosse al gioco avversario. Ha capito che, più che Puskás e Kocsis, la chiave del gioco ungherese è Hidegkuti. Bloccare il centravanti arretrato significa inaridire le fonti del gioco. Vuol dire non mettere le due punte nella condizione di concludere a rete. Intanto la Germania si propone in avanti: 18°, calcio d’angolo per i tedeschi. L’incertezza difensiva è praticamente collettiva. Batte il capitano Fritz Walter e mette il cross al centro dell’area. Grosics pensa che la palla sia di Lóránt, Lóránt di Grosics. Nel dubbio i due finiscono con il contrastarsi a vicenda: Grosics manca la presa e Lóránt non riesce a spazzare via. Il più lesto a intervenire sotto porta è Rahn, che al volo mette a segno la rete del pareggio.

Restringendo il raggio d’azione di Hidegkuti e Bozsik, i tedeschi hanno limitato le possibilità offensive dell’Ungheria. Anzi, nel secondo tempo la Germania Ovest alza poco alla volta il baricentro del gioco e dalle parti del portiere Turek tutto sommato succede poco. Succede invece tutto a sei minuti dalla fine. Bozsik ruba palla a centrocampo e cerca di impostare l’azione. Ma all’improvviso fa qualcosa che in effetti non è da lui. Si distrae. Il centrocampista tedesco Schaefer vince il contrasto, poi si invola sulla fascia e mette al centro. Il primo a intervenire sul cross è Lóránt, la cui respinta di testa è corta. Il pallone balla sul limite dell’area, arriva per primo il tedesco Rahn, un giocatore che di norma ha solo il piede destro. Ma poiché sul suo fianco preferito ci sono quattro avversari che cercano di chiudergli la visuale, per una volta tenta di sinistro. L’erba bagnata e il fango si prendono il resto del merito: Grosics si estende in tuffo ma la palla, resa viscida dalla pioggia, finisce sotto la sua mano e gonfia la rete nell’angolo basso a destra. L’incredibile si è appena materializzato.

Minuto 85. Forcing dell’Ungheria. E il gol del pareggio arriverebbe pure. Su un lancio in avanti, uno di quelli che Sebes non ama ma che ogni tanto servono, Kocsis fa da sponda all’intervento di Puskás, all’altezza dell’area piccola. Sull’intervento in spaccata la palla entra, ma il guardalinee segnala fuorigioco. Nemmeno i tedeschi devono ritenere che la punta avversaria sia in off-side, perché si stanno dirigendo a centrocampo accettando l’idea dei supplementari. Sull’azione successiva, quella della disperazione, ci prova ancora Czibor dal limite dell’area. Visto che stavolta il guardalinee non potrebbe nulla, Turek compie l’ultima prodezza. Poi tre fischi consecutivi. Finisce qui una battaglia che passerà alla storia dello sport.

La Mannschaft torna in patria con la Coppa. Tuttavia una coda polemica getterà un’ombra sull’impresa di Berna. Si diffondono voci che all’inizio sembrano soltanto chiacchiere da bar. Alcuni neocampioni del mondo vengono ricoverati per infezione con ittero. Fritz e Ottmar Walter, Morlock, Rahn e il portiere di riserva Kubasch accusano gli stessi malesseri. Si parla di doping, a seguito del rinvenimento di fiale negli scarichi dei bagni della squadra tedesca. Nonostante le dichiarazioni ufficiali dei dirigenti tedeschi (i quali sosterranno che nelle boccette vi fossero solo glucosio e vitamina C), si sospetta che quelle ritrovate siano fiale di Pervitin, sostanza oppiacea già utilizzata dalla Wermacht durante la seconda guerra mondiale. Il Pervitin rende euforici, instancabili, efficienti. Ma passato l’effetto può presentare conseguenze. Per quanto assai probabile il ricorso al doping risulterà indimostrabile e le proteste magiare rimarranno fini a se stesse.

La Germania entra così nel novero delle potenze del calcio. Se pure una tradizione è nata grazie a un episodio abbastanza oscuro, i tedeschi l’hanno mantenuta viva grazie ad adeguate politiche settoriali. Inutile a questo punto chiedersi se i calciatori del 1954 fossero in preda al Pervitin. La vera domanda sarebbe un’altra: in piena Guerra Fredda avrebbero mai lasciato vincere il Mondiale a una squadra del blocco sovietico come l’Ungheria?

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