Icons – Marco Di Vaio

1: Grazie Empoli, grazie Spalletti

2008. Il Bologna di Arrigoni è appena tornato in serie A e cerca una punta. Sembra che venga Okaka dalla Roma, ma l’allenatore giallorosso Spalletti cambia idea e lo trattiene (grazie, Spalletti!). Sembra che venga Pozzi, ma l’Empoli spara alto (grazie, Empoli!). La coppa Italia incalza, chi prendiamo? Ci facciamo tutto il campionato con Bernacci, Adailton e Marazzina?

Quando la scelta ricade su Di Vaio, la tifoseria si divide: qualcuno richiama i precedenti di Baggio e soprattutto Signori, il campione in disarmo che si rilancia qui da noi, altri brontolano “un altro pensionato finito che viene qui a svernare”.

Intanto, contro il Vicenza in coppa, Di Vaio subentra e segna subito.

31 agosto, si va a San Siro col Milan in festa per l’arrivo di Ronaldinho. Il Bologna sembra dover fare la parte della torta, in questa festa, ma invece fa Jep Gambardella, quello che le feste ha il potere di farle fallire. Diciottesimo: palla filtrante di Amoroso per Di Vaio, sinistro a giro sul secondo palo, eccolo qua, il primo gol in campionato del bomber. Pareggia Ambrosini ma sul finale Valiani segna un supergol, ecco i primi inaspettati tre punti.

Dal 31 agosto al 19 ottobre passa un tempo calcolabile come un film ungherese sottotitolato in polacco con nove tempi (Fantozzi docet), in cui il Bologna fa zero punti in cinque partite. La linea difensiva Lanna-Terzi-Moras-Zenoni è friabilissima, Britos è spaesato, Volpi e Mingazzini creano poco o niente a centrocampo, la coppia Di Vaio-Marazzina non funziona, quella Di Vaio-Adailton nemmeno, Bernacci, non parliamone, il brasiliano Coelho diventerà famoso per i suoi palleggi da funambolo nell’intervallo.

Il 19 ottobre arriva la Lazio e c’è una resurrezione apparente del morto. Volpi inventa una gran punizione, e poi esplode Di Vaio: colpo di testa sul primo palo da calcio d’angolo, e poi doppietta con un gol capolavoro alla Signori, aggancio volante di destro su un lancio lungo, sombrero sul difensore e sinistro nell’angolino. Sono i suoi primi gol in campionato al Dall’Ara.

A Genova sponda Samp a festeggiare è l’ex Bellucci. Con la Juve il gol dell’ex lo fa Di Vaio (e sono quattro), ma dopo che Nedved ne ha segnati due. A Cagliari diventano cinque, ma cinque li segna anche il Cagliari (con doppietta di Acquafresca) dopo quell’effimero vantaggio, e a questo punto Arrigoni saluta.

La squadra sembra a tutti impresentabile, c’è giusto quel numero 9 che fa gol, ma davvero nient’altro. Solo un pazzo può prendere il Bologna in quel novembre 2008. E il matto arriva.

 

2- Sinisa, parte 1

In questo momento preciso, gennaio 2020, tutti stiamo lottando con Sinisa che sta combattendo la leucemia in ospedale dirigendo il nuovo Bologna a distanza. Tutti lo abbiamo eletto a nostra divinità personale, quando ha trasformato il tremendo, inguardabile Bologna di Inzaghi in una mostruosa macchina da punti.

Ma Sinisa era già qui nel 2008, con la sua sciarpa rossoblù che era diventata un gadget assai venduto, alla sua prima esperienza da allenatore (prima era il vice di Mancini). Subito gli viene l’idea giusta: Di Vaio gioca meglio da attaccante unico, non c’è bisogno di nessun Bernacci o Marazzina accanto a lui, almeno per il momento, poi a gennaio si vedrà.

L’esordio in casa con la Roma mostra che la musica è cambiata, quantomeno per la buona sorte: fa gol Totti, ma Cicinho segna nella sua porta al novantunesimo. Un punto, un brodino, dai.

Si va sotto anche a Siena, ma ci fischiano il primo rigore del campionato e Di Vaio dal dischetto non sbaglia. Non sbaglia neanche contro il Palermo, zampata sotto porta, ma stavolta il gol al novantesimo lo fanno loro. Neppure in casa del Genoa sbaglia, pareggiando da ex non esultante, di testa, il gol di Sculli. A questo punto con Sinisa non abbiamo ancora vinto ma non abbiamo neppure mai perso, stiamo smuovendo la classifica, e quando lotti per la salvezza non fa mai male.

Già, perché le avversarie sono quattro: Chievo, Reggina, Lecce, Torino. Una corsa a cinque, tre retrocedono, due si salvano.  E qui comincia un mini play-out perché, come vedremo, il Bologna le affronta tutte di fila.

Reggina-Bologna, scontro diretto: andiamo sotto, pareggia Valiani, sotto di nuovo, ma Di Vaio si ricorda di essere l’erede di Signori: gran sinistro al volo, botta imparabile sul secondo palo, ed è il quinto pareggio consecutivo.

Bologna-Torino, scontro, come si dice, tra nobili decadute. Quattordici scudetti in campo, per giocarsi il quartultimo posto. E al cinquantacinquesimo sembra che la magia di Mihajlovic sia finita: il Toro di Novellino sta vincendo due a uno. Ma ecco che il numero 9 si prende in mano la partita. Cinquantacinquesimo, appunto: mischione da calcio d’angolo, il più lesto e Di Vaio, destro in porta. Sessantaduesimo: lancio in verticale, Di Vaio punta il difensore, lo secca come un birillo con una finta bruciante e scocca il sinistro del tre a due. Sessantottesimo: rigore per il Bologna, il numero 9 lo lascia a Bernacci, che segnerà il suo primo e ultimo gol rossoblù. Settantaduesimo: altro rigore, stavolta lo tira il bomber, cinque a due, tripletta. 5-2.

Il playout di andata finisce con due pareggi con Lecce e Chievo (e un altro gol di Di Vaio, su rigore). Fin qua l’andamento del Bologna di Mihajlovic, in chiave salvezza, è quasi trionfale. Lo diventa ancora di più nell’ultima del girone d’andata, a Catania: vittoria in trasferta, la seconda dopo quella lontanissima impresa a San Siro. Cross di Amoroso, testa di Di Vaio, quattordicesimo gol.

Nel frattempo arriva l’attaccante Pablo Osvaldo, ma arriva anche la prima sconfitta col nuovo allenatore, un bruciante 1-4 col Milan in cui segna persino Beckham (ma Di Vaio dal dischetto arriva a 15).

Si va a Bergamo. Ecco: Bergamo. Io in trentacinque anni da tifoso ho visto il Bologna vincere più o meno su qualunque campo, da San Siro all’Olimpico, dal San Paolo a svariati stadi della Juve, da Lisbona a Praga. Ma solo una volta, solo una, una, giuro, in tante sfide, ho visto conquistare i tre punti in casa dell’Atalanta. Ed è in questo gelido 18 gennaio, grazie a un tiro cross di Volpi che va dentro in qualche modo. Bene: come punizione per questo miracolo, qui finisce il Bologna di Mihajlovic.

Non letteralmente, no. Ma il miracolo, la spinta salvifica, una squadra tremenda, sbagliatissima, fragilissima, miracolata dalla presenza di un superbomber e da nient’altro, chiude qui l’energia dell’allenatore serbo. Per un mese ci sono soltanto sconfitte su sconfitte, giusto un brodino in casa del Napoli di Reja (1-1, un tap-in di Di Vaio dopo il gol di Maggio).

C’è una vittoria illusoria poco dopo la morte della bandiera Giacomo Bulgarelli, un tre a zero in casa contro la Sampdoria in cui Di Vaio segna di testa, di destro dopo un’imbucata, ancora di destro dopo un triangolo, e a questo punto i gol sono diciotto e il nostro bomber si sta giocando il titolo di capocannoniere con Ibrahimovic dell’Inter. Ma poi la Juve ci asfalta a Torino, Acquafresca ci batte col suo Cagliari, ci batte la Roma, e l’11 aprile siamo di nuovo nei guai.

Si dice che qualcosa si sia rotto, nello spogliatoio. Che il carattere di questo primo Sinisa, giovane e irruento, sia venuto a noia a qualche giocatore. Che Volpi abbia detto e fatto delle cose. Che Osvaldo, oltre a non aver ancora bollato, non sia simpatico a nessuno. Che qualcuno abbia preso a schiaffi Amoroso. Che qualcuno abbia insultato Marazzina. E intanto il Chievo si sta togliendo dalle paludi, forse le cinque combattenti diventano quattro…

Bologna-Siena, dunque.

3: Un minuto di totale follia

Bologna-Siena, 11 aprile 2009. In attacco gioca di nuovo Marazzina accanto a Di Vaio, e la cosa non porta bene. Segna Calaiò. Segna Portanova. Al trentanovesimo Bombardini esce per lasciare il posto a Osvaldo, e le tre punte in campo concludono il disastro. Ghezzal e Kharja nel secondo tempo segnano due gol, diciamo così, circensi. Come gli ultimi due del Frosinone, dieci anni dopo, nell’addio di Inzaghi prima del ritorno di Mihajlovic.

Uscendo avviliti, pensiamo solo: Beh, quantomeno il Torino ha pareggiato, siamo ancora davanti al Torino. E il tabellone, puntuale, ci certifica il gol di Natali all’ultimo minuto. Ora siamo terzultimi, un punto sotto i granata, e fischiatissimi.

Arriva il terzo allenatore di questa terrificante stagione, l’esperto Papadopulo, e non parte proprio benissimo: Palermo-Bologna 4-1 (il gol della bandiera lo fa Di Vaio), e per fortuna perde anche il Toro.

Adesso arriva il Genoa di Milito, lanciatissimo verso la Champions, e poi ricomincia il playout contro tutte le pericolanti di fila. E Papadopulo azzecca la prima in casa, dove abbiamo già perso nove volte: Di Vaio su rigore, Terzi, due a zero. Naturalmente, vince anche il Torino.

Okay, diciamo: abbiamo vinto contro il Genoa che lotta per la Champions, il Torino va a Firenze, lottano pure i viola per la Champions, vuoi che non battiamo la Reggina e li scavalchiamo?

Il Torino, a Firenze, perde come previsto. Ma Brienza e Barreto ci ghiacciano, ci devastano, basta, si va in B, è ovvio che si va in B, se perdi dieci volte in casa e la decima è con la Reggina è ovvio che devi andare in B, è ovvio e giusto.

E la quartultima è Torino-Bologna, la madre di tutte le sfide salvezza. Se perdi vai a meno quattro, è finita. Se pareggi, resti a meno uno con lo scontro diretto a favore, è aperta. Se vinci , be’, no, sembra impossibile a tutti che si possa vincere a Torino. Dove tra l’altro gioca titolare Coelho, il funambolo dell’intervallo.

Il Bologna del primo tempo non vede palla. Cinque occasioni per il Toro in mezz’ora, Rosina non lo tiene nessuno, non lo tiene il redivivo e acciaccato Castellini, non lo tiene Zenoni, non lo tiene la sciagurata coppia Terzi-Moras, ci tengono in vita le parate di Antonioli.

E poi c’è, come dire, un rigorino, un rigoretto, un’entrata un po’ maldestra, una fischiata parecchio severa, insomma, uno a zero per loro. A posto, l’anno prossimo in B scopriamo com’è Gallipoli, com’è Cittadella.  E mica ci andiamo per questo rigore regalato e inesistente, no, ci andiamo perché abbiamo una squadra che fa schifo, abbiamo una squadra che è Di Vaio contro tutti, e quando entrano Osvaldo e Marchini per Mudingayi e il giocoliere Coelho qualcosa combiniamo, il portiere Calderoni fa addirittura una parata, va bene, è finita, no?

Quattro minuti dalla fine. Quando si dice che una squadra gioca con la forza della disperazione, ecco, quello è il Bologna di quel finale di partita. Ma anche nella disperazione, qualcuno si ricorda che cosa sa fare: Christian Amoroso, per esempio, nei suoi sette anni a Bologna ha scodellato quantità industriali di palloni per gli attaccanti, tocco sotto, pallonetto a scavalcare la difesa. Ecco: se lo ricorda. Lo fa. Osvaldo: sempre a zero reti, ma sa aggirare un portiere se ben servito. Se lo ricorda. Lo fa. Calderoni lo stende. Rigore. Calderoni andrebbe anche espulso, ma non sottilizziamo.

E Di Vaio? Di Vaio i rigori li sa tirare, lo ha dimostrato in tutta questa stagione, ma questo, a quattro dalla fine, con lo spettro di Gallipoli stampato in faccia?

Preghiamo, stiamo pregando tutti il nostro dio personale Bulgarelli, regala il tuo piede a Di Vaio, ti preghiamo, cioè, il suo è già ottimo, ma dagli una mano anche tu, nooooo, il portiere ha intuito la direzione, il tiro è forte ma…

Gol. Ventiduesimo. Fondamentale. Perché siamo rimasti indietro di un punto, ci basterebbe arrivare pari a loro per salvarci… e noi abbiamo il Lecce in casa, loro vanno a Napoli…

Il Lecce è disperato, deve vincere al Dall’Ara per salvarsi, e nel primo tempo facciamo di tutto per aiutarli. Giochiamo in modo esasperante, andiamo sotto, poi Di Vaio segna il gol numero 23. In fuorigioco, d’accordo, ma diciamo che fa pari con il rigoretto di Rosina (a Lecce potrebbero obiettare, giustamente).

Nell’intervallo c’è un boato gigante: Napoli 1 Torino 0, santo tabellone, facciamo che il campionato finisce adesso, dai, con due giornate e mezzo di anticipo! Il Lecce, per di più, resta in dieci. Adesso, dai, adesso vinciamo e la chiudiamo, questa questione. Solo che il Bologna, in undici contro dieci, passeggia inconcludente. E anche il Napoli, a quanto dice il tabellone: Napoli-Torino 1-2.

Al San Paolo è finita, i granata stanno già festeggiando, vanno a più tre, è fatta. Noi carichiamo con la lucidità del pugile suonato, c’è il difensore Castellini che fa il regista, l’altro difensore Moras che fa il centravanti, adesso l’arbitro fischia…

Il regista improvvisato Castellini alza un pallone per il centravanti improvvisato Moras, spalle alla porta, che fa da torre per Di Vaio appena fuori area. E Di Vaio, che ha fatto gol in tutti i modi, non spara un siluro in porta, non tenta un dribbling contro tutta la difesa del Lecce, non prova il tiro a giro, no. Si trasforma in Baggio. Il suo numero 9 diventa 10 per un attimo, il tempo di fare l’assist del secolo, di scodellare un pallone con il contagiri con gli occhi dietro la testa, giusto giusto per Volpi che gli è sbucato alle spalle e sta correndo in area. Tocco d’esterno. Gol, lentissimo, sul secondo palo, preciso.

Forse non è stata l’ombra di Baggio: forse è stato Bulgarelli che ha detto Bravo Marchino, è così che si scodella un pallone alla cieca con il contagiri al novantaquattresimo, ora torna pure a fare il bomber.

Penultima: Chievo-Bologna. Il Lecce e la Reggina sono andati, al Chievo basta un punto. In questi centottanta minuti ci scanniamo noi e il Toro. Il Torino ha il Genoa in casa, il Genoa ha quasi perso la Champions ed è già sicuro in Uefa, poi c’è il gemellaggio tra i tifosi, vincerà di sicuro. Poi va a Roma, che la Uefa se la sta ancora giocando e va in casa del Milan. Bisogna che la Roma non vinca e che si debba impegnare all’ultima, quando verrà da noi il già tranquillo Catania.

E noi? Noi andiamo in settemila al Bentegodi a seguire questa squadra tristissima, questo Di Vaio Contro Tutti. Il Chievo ha il biscottone già in mano, se vogliamo un punto ce lo dà in carrozza e poi festeggia, ma a noi il punto non è detto che serva, non è detto che basti…

Fa un caldo mortale, si infortuna Moras, entra addirittura César, Aparecido César, sei mezze presenze, talmente in forma che di lì a pochi mesi passerà al Pescina, ci giochiamo la salvezza con quel che resta di Aparecido César…

Il Chievo, di tirare in porta, non ha intenzione. Noi ne avremmo intenzione, ma non ci riusciamo, non ci riusciamo proprio, a Di Vaio non arriva niente di niente, e tutte le emozioni passano dal tabellone: gol del Genoa, pareggio del Toro. 1-2 del Genoa, 2-2 del Toro.

E la Roma? La Roma va in vantaggio, il Milan pareggia con nostro gran sollievo.

Papadopulo le ha viste tutte, è scafato, è saggio: visto che non riusciremmo a fare gol nemmeno giocando fino a luglio, teniamoci questo pareggio e speriamo che basti. A due minuti dalla fine, giusto per far capire al Chievo che aria tira, mette dentro Confalone, che fa il suo esordio stagionale dopo trentasette giornate. Ci stiamo giocando la salvezza con César e Confalone, è una bella mano di poker, e Totti, porca miseria, Totti proprio alla fine segna a San Siro e manda in Uefa la Roma. A questo punto è finita, il Toro va all’Olimpico con i giallorossi in vacanza, anzi, speriamo che non faccia gol al novantesimo col Genoa, perché altrimenti tutta questa bella mano di poker, Confalone, César, mezz’ora di melina del Chievo indisturbata, non è servita a nie…

Si accende il tabellone del Bentegodi. Torino-Genoa, per la quinta volta.

Milito, 2-3. Quel che succede nella nostra curva e nella mia, di testa, in quei momenti non è descrivibile in maniera umana.

Farina fischia la fine del biscottone del Bentegodi, i giocatori del Chievo corrono a festeggiare la salvezza mentre risuona l’inno di Ivana Spagna, Chievoveroooona / questa forza siamo noi, i nostri si ammucchiano in panchina intorno alla radiolina. Ce l’ha Osvaldo.

A Torino non finisce più, si stanno scatenando delle risse in campo, adesso pareggiano, vedrete, quelli del Genoa li fanno pareggiare… e Ivana Spagna continua a cantare tra i cori dei tifosi del Chievo e il silenzio totale dei nostri, Chievoverooona / devi esserci anche tu…

Pablo Daniel Osvaldo. Attuale rockstar, ce ne ha fatti di gol, dopo, con la maglia della Roma. Ne ha segnati tre anche l’anno dopo nel Bologna: il primo era alla Fiorentina e non ha esultato, anzi, ha chiesto scusa alla curva viola, il secondo era al Siena e ha festeggiato insultandoci tutti, il terzo era a Genova sul quattro a zero per la Samp e ha esultato. Un tipo strano.

Io, di esultanze di Osvaldo, ricorderò per sempre quella: lui che alza le braccia in panchina, subito imitato da Amoroso e tutti gli altri.

Io che perdo il lume della ragione.

Ci sono vari tipi di esultanze, per un tifoso. Delle quattro più deliranti della mia vita, tre sono capitate in serie B. Il gol di Bresciani al novantesimo al Chievo. Il gol di Fava a Mantova. Il fischio finale di Bologna-Pescara, finale playoff. Ma quelle esultanze di serie B venivano dopo nove mesi condotti nelle posizioni alte della classifica, tante vittorie, tanti gol, è l’Esultanza Suprema dopo un campionato di esultanza.

Quando alla penultima giornata hai trentaquattro punti, hai esultato ben poco, hai masticato amarissimo, hai trangugiato bocconi immangiabili e ti sei abituato a pensare che tutto andrà male. E quando invece a sorpresa va bene, perdi la testa per un minuto. Io ho perso la testa per un minuto. Per il gol di Milito. Che nemmeno giocava nel Bologna.

L’ultima di campionato non riserva sorprese, anche il Catania ovviamente fa sapere che non regalerà nulla. Vinciamo tre a uno, e Di Vaio segna il gol numero ventiquattro. Ibrahimovic ne fa venticinque: ah, se il bomber non avesse lasciato tirare quel rigore a Bernacci…

Il 2008-2009 è uno di quegli anni in cui avrebbero meritato di andare in B quattro squadre per demeriti sportivi. Ma una delle quattro aveva Di Vaio.

4: Cento, e oltre

L’anno che segue vede la fascia di capitano al braccio di Marco Di Vaio, la fascia che bacia dopo ogni gol.

Il Bologna parte da schifo come spesso capita, due pareggi e due sconfitte. Alla quinta ci pensa Di Vaio a siglare la prima vittoria contro il Livorno, controllo di petto e destro in diagonale del due a zero dopo il gol di Portanova. Il suo gol numero 102 in serie A (il centesimo è stato quello in fuorigioco contro il Lecce).

Un rigore contro il Genoa nel già citato compleanno, e sono 103. Ma intanto la squadra non convince granché, e dopo una sconfitta all’ultimo minuto a Napoli Papadopulo lascia il posto a Franco Colomba, grande ex nonché cuore rossoblù.

Lì per lì le cose non cambiano, a dire il vero. A novembre c’è una sfida da vincere in casa con il Palermo, e il Capitano regala il gol dell’uno a zero a Zalayeta prima che i rosanero pareggino. Zalayeta riporta avanti il Bologna, e al novantaduesimo succede, come si suol dire, di tutto: il Palermo attacca, la palla rimbalza avanti e indietro in area come un flipper, Fantozzi direbbe naso, tibia, nuca, quasi palo, finché quel pallone dannato non schizza in avanti, dove scatta Di Vaio solitario verso il portiere. Finta il pallonetto, invece lo salta con una finta.

La porta è vuota, il Capitano tira sicuro, in curva stiamo già esultando… e invece no. Il Capitano è stanco, ha colpito pianissimo, una ciabattata, un difensore recupera, respinge come può. Di Vaio recupera quel pallone e scarica una spingardata che mette il sigillo sui tre punti.

Dopo un altro rigore vittorioso con l’Udinese, si arriva alla fine del girone d’andata un po’ così, come dire, senza infamia e senza lode. Ma poi, di colpo, il Bologna rifiorisce: a Firenze Di Vaio inventa un tocco esemplare per scavalcare Frey, prima vittoria in trasferta dell’anno.

In un recupero infrasettimanale con l’Atalanta, il Capitano si scatena. Prima si esibisce in un numero mai più ripetuto a Bologna, il gol su punizione, una parabola spettacolare di destro, nella classica mattonella di un mancino. E raddoppia con un tiro al volo su una scucchiaiata di Zalayeta.

Di Vaio va in gol sette giorni dopo in casa del Chievo, un pareggio indolore, secondo tradizione al Bentegodi, e poi segna un gol importantissimo a Livorno, in quello che sembra l’addio definitivo alle paure di retrocessione.

A un certo punto si inizia a parlare di Europa: accade dopo uno spettacoloso quattro a tre in casa del Genoa, con tripletta di Adailton, seguito da un due a uno in casa col Napoli. Come spesso accade, i discorsi primaverili sull’Europa ci portano una sfortuna dannata.

Cinque sconfitte consecutive ammazzano i sogni e fanno risorgere le consuete paure. La quinta, un tre a due con la Lazio dopo essere stati sopra due a zero, è mortale. Anche perché l’Atalanta, che sembrava spacciata, si è messa a marciare forte e sta recuperando posizioni.

Alla quintultima a Udine andiamo in vantaggio, reggiamo fino all’ultimo, e al novantesimo c’è una punizione per noi. Mudingayi la tira nel peggior modo possibile, Di Natale pareggia e l’Atalanta vince di nuovo, ora è a cinque punti…

Arriva il Parma, ci sono tutte le paure del mondo ad aleggiare sul Dall’Ara, gli spettri di Bergamo, di Tiribocchi, di Chevanton… e quello di Biabiany, che porta il Parma in vantaggio. Ma il Capitano c’è ancora: non segna da due mesi e mezzo, recupera con un colpo di tacco nel primo tempo su cross di Buscè e poi con un tocco da opportunista infilandosi tra difensore e portiere. 2-1.

Si va a Bergamo alla terzultima, con cinque punti da difendere. Cinque punti che mai e poi mai dovranno diventare due, mai e poi mai. Portanova quasi subito stende Guarente dell’Atalanta, Valdes tira, Viviano para, ci è andata bene, dai. Siamo ancora lì che santifichiamo Viviano, quando Guarente lo beffa con una punizione da lontanissimo, assurda. In un attimo, il nostro portiere si trasforma da santo, bell’uomo, erede di Pagliuca in presuntuoso e ultrà viola. Non è bello, ritrovarsi un avversario che credevi morto a due punti di distanza.

L’Atalanta, nel secondo tempo, ci massacra. Giocano palesemente in quindici, noi, con Mutarelli e un Adailton non pervenuto, in nove. Sembrano sempre partire in venti contro due, poi tirano alto, o sbagliano un passaggio…

Entra Gimenez, idolo temporaneo della curva. A nove minuti dalla fine fa un tiro risibile, ridicolo, lentissimo, ma è il primo tiro in porta del Bologna, ed è sotto di noi, nella curva ospiti. Il portiere Consigli lo respinge corto.

Ma in quel momento sta arrivando il difensore Peluso. E quel pallone, in modo maldestro, lo colpisce lui. Lo rincorre lui, mentre rotola verso la linea di porta. Lo insegue Consigli, che si è rialzato da terra. Lo scruta da lontano il nostro centrocampista Casarini. Casarini alza le braccia. Ci si salva anche così: con un autogol, su una respinta corta, su un tiraccio debole.

La matematica arriva la domenica dopo col Catania, e con lei il dodicesimo gol di Di Vaio, un destro preciso. Nel Bologna, a questo punto, ne ha già segnati trentasette in due anni. Il nuovo Signori è lui, sì, decisamente.

 

5: Diciannove

Il terzo anno dell’Era Di Vaio è quello in cui succede di tutto.

I tifosi non vedono l’ora che i Menarini, brave persone ma non proprio megamiliardari, passino la mano. Non c’è sempre un Milito o un Peluso a rimediare ai nostri guai. E cedono, infatti, ma cedono a un certo Porcedda, proprietario di un lido e di una discoteca a Cagliari, nonché di un hotel. Che compra il Bologna per motivi che mai comprenderemo, ma che per fortuna si porta dietro un ds come Longo che riesce a comprare giocatori quali Gaston Ramirez o Diego Perez. Come mossa iniziale Porcedda esonera Colomba alla vigilia del campionato, chiamando al suo posto Malesani.

Alla terza, all’Olimpico con la Roma il Bologna va sotto due a zero. Di Vaio prima accorcia con un sontuoso sinistro da posizione defilata, poi pareggia a venti secondi dalla fine con una girata su assist di Meggiorini, e va a esultare davanti al lazialissimo padre impazzito di gioia. E al novantesimo si ripete anche la domenica successiva: con l’Udinese il Bologna subisce, va sotto, pareggia, ma il Capitano proprio al novantesimo azzecca una zampata da opportunista che significa vittoria. Altri due gol in terra siciliana: a Catania, ribattendo in rete la respinta del portiere dopo un rigore sbagliato, a Palermo il gol della bandiera in un massacro (4-1). Poi ecco un’altra vittoria, una partita con il Lecce che sembra non volersi sbloccare e invece si sblocca a sei minuti dalla fine, quando il familiare cranio glabro di Capitano sbuca in area ad anticipare il portiere.

Intanto cominciano a correre voci strane su Porcedda, sulle sue disponibilità economiche, su un socio fantasma che sembra sparito lasciandolo solo…La squadra continua a correre e a vincere, almeno in casa. In una partita complicata col Brescia, Di Vaio si inventa letteralmente il gol della vittoria: spalle alla porta, si gira tra Zebina e Martinez e scarica una bomba da fuori area.

Sono tre punti destinati a svanire nel nulla, però. Non perché la vittoria sul Brescia venga invalidata, ma perché il 18 novembre, al momento di pagare gli stipendi ai tesserati, Porcedda scappa, in pratica, senza nulla aver versato. Il Bologna prenderà tre punti di penalizzazione, e a questo punto non è nemmeno chiaro il futuro che potremo avere. Si va a Napoli con la testa altrove, si perde quattro a uno, e poi la squadra e l’allenatore si compattano. I senatori iniziano ad aiutare anche materialmente i giovani rimasti senza stipendio, giocatori e Malesani si impongono di superare in fretta la penalizzazione, e per quel che sarà il futuro, si spera che qualche ricco pazzo subentri alla guida del nostro amato BFC 1909 prima che arrivino altre penalizzazioni o ulteriori disastri.

Il patto funziona benissimo. La tifoseria si incolla alla squadra con quell’epica, sana disperazione che scaturisce dalle situazioni impossibili. A Cesena si gioca in dodici, in tredici, che diventano quattordici quando Di Vaio scocca il destro dello 0-1 proprio sotto la curva ospiti. Britos raddoppia, si vince il classico derby degli anni Ottanta, e poi arriva il Chievo. Segna ancora Britos, pareggiano i veronesi, ma negli ultimi minuti il Bologna si rovescia in avanti con una furia inaudita. Tira Ekdal al novantaduesimo, respinge il portiere, tira Di Vaio, un difensore mette in angolo, è l’ultima azione, Di Vaio prende il pallone dalla bandierina, tocca corto, triangola con Moras,che gli restituisce una palla perfetta: destro di tuono, non c’è portiere che tenga, e il Capitano corre sotto la curva impazzita.

Il patto funziona, e il ricco pazzo arriva: è Massimo Zanetti, il re del caffè Segafredo, che il 23 dicembre annuncia che il Bologna è salvo, non abbiamo più niente da temere. Dopo solo un mese Zanetti se ne va litigando con tutti, e i suoi soci minori (Pavignani prima, Guaraldi poi) si alterneranno alla presidenza.

Comunque, risolti i problemi in società, si risolvono anche quelli sul campo. Dopo un gol alla Fiorentina a inizio anno, gran colpo di testa alla Beppe Savoldi, il Capitano ne segna uno nella vittoriosa trasferta a Bari: tiro dal limite e tap-in sulla respinta del portiere.

Arriva la Lazio, in una delle partite più rissose ed esaltanti dell’anno. Segna Floccari, pareggia Ramirez, poi Di Vaio salta Ledesma come fosse una statuina e scarica il destro sul secondo palo. Dopo un po’ di risse tra sudamericani, cartellini gialli, cartellini rossi, il Capitano scatta su un lungo lancio tra i difensori della Lazio e piazza un colpo da biliardo che bacia il palo e finisce in rete. 3-1.

Altra rete a Udine, la cinquantesima nel Bologna, un destro chirurgico dal limite. E poi c’è una giornata esaltante a Torino contro la Juve, dove il Bologna non vinceva in campionato dall’81. Di Vaio prima si infila su un lancio tra Chiellini e Bonucci e scavalca Buffon con un tocco da sotto, poi riceve un colpo di tacco da Meggiorini, danza tra cinque – cinque! – difensori della Juve e poi scocca il destro che vale la vittoria.

I suoi gol sono già sedici. Ne arrivano altri tre: un rigore contro il Cagliari, in una partita pareggiata al novantacinquesimo da Ramirez, un altro col Genoa, stop di petto e destro a incrociare sul secondo palo. Ma a questo punto, dopo una vittoria a Lecce, si è già aperta la parte “salvi siamo salvi, potremmo puntare all’Europa”, e chiaramente comincia il disastro. Il diciannovesimo e ultimo gol è quello della bandiera a Brescia, in una sconfitta che dà il via a un ciclo finale abbastanza umiliante.

 

6: Il difficile ultimo anno di un campione

Il quarto anno al Bologna di Di Vaio è anche l’ultimo. E comincia malissimo, una di quelle ricorrenze che caratterizzano il Bologna insieme ai crolli primaverili appena si parla di Europa. Malesani viene rimpiazzato da Bisoli, e le cose non vanno per niente: un punto solo in cinque partite (un 1-1 a Torino con la Juve), e così a Novara debutta Pioli, vincendo due a zero come biglietto da visita. Ma guardando la serie di partite di questi primi mesi, l’alternanza di vittorie in casa col Chievo o sconfitte casalinghe col Cesena, salta all’occhio una cosa: tra i marcatori, Di Vaio non c’è, o quasi. Un rigore in un 3-1 con l’Atalanta, e basta.

Che succede? Forse è finito? Non segna più! Non esageriamo. Dopo dodici partite arriva il primo gol su azione, a Cagliari, un tocco da opportunista su un errore difensivo. Si è sbloccato? Si è sbloccato.

Arriva il Siena al Dall’Ara. Capita un pallone al limite dell’area ad Alino Diamanti, uno che sa essere un genio vero, quando vuole, e a Bologna lo è stato spesso. Spalle alla porta, inventa un filtrante di tacco per l’accorrente Di Vaio che esplode il destro della vittoria.

Arriva il Milan: lancio lunghissimo, il Capitano scatta oltre la difesa, Amelia sembra in anticipo, ma il destro da sotto è di quelli diabolici, quei pallonetti che sembrano voler finire in curva e invece atterrano chirurgici nella rete.

Un paio di sconfitte, poi arriva il Catania: Cherubin la sblocca, Diamanti giganteggia, Di Vaio non sembra in gran giornata, è impreciso, e quando gli arriva il pallone del due a zero lo tira in bocca al portiere. Ma i bomber, anche fuori forma, il cuoio lo attirano magicamente: la respinta gli arriva addosso. Una zampata e i gol sono cinque, mentre i punti sono tre.

A Roma sponda giallorossa il Capitano sbaglia un paio di reti, ma alla terza non perdona: rasoiata di sinistro, e sono sei.

A inizio primavera c’è una giornata gloriosissima in casa dell’Inter. Trentasettesimo: Ramirez va via sulla sinistra, passa a Perez che scarica a Di Vaio dalla parte opposta. Difensore messo a sedere, sinistro faraonico, 0-1. Trentottesimo: lancio lungo, Ranocchia buca, Di Vaio ringrazia e spara un tiro in corsa per lo 0-2. Poi triplicherà Acquafresca.

Il Bologna, dimenticato l’inizio con Bisoli, ha messo su una marcia quasi trionfale. Diamanti e Ramirez gareggiano in colpi da fuoriclasse, e stendono la Fiorentina con uno spettacolo di assist e gol di tacco.

Il Capitano vive una giornata faticosa con il Novara, la cenerentola dell’anno. In una sera di lutto per la morte di Lucio Dalla, il Capitano va a tirare un rigore procurato da Diamanti e lì, non so, in qualche modo lo capiamo, lo sentiamo tutti che lo sbaglierà. E infatti sbaglia. E dopo, in una partita in cui il Bologna crea quarantamila occasioni da gol, a cinque minuti dalla fine Perez si infila in area, tira di punta: palo. La palla torna in campo, c’è Di Vaio da solo, davanti alla porta vuota. Un gol che avrebbe segnato a occhi chiusi in momenti migliori, ma invece ci arriva sbilanciato, la tocca male, la manda sul portiere, e poi da lì di nuovo sul palo, e per fortuna che ci pensa Acquafresca a spingerla oltre la riga bianca.

L’ultimo vero giorno di gloria – ma non l’ultimo gol – è in un Bologna-Juve in notturna a inizio marzo: lancio dritto e centrale verso Di Vaio che scatta come ai bei tempi in mezzo ai difensori, destro beffardo e millimetrico col giro giusto per evitare Buffon, pallone che si spegne sul secondo palo.

E l’ultimo, invece, è due settimane dopo. Nessuno si immagina che possa essere l’ultimo: mancano ancora dieci partite, il Bologna sta macinando gol, ne ha appena fatti tre in casa della Lazio, e invece questo Bologna-Chievo 2-2 decreta la fine. Non è nemmeno molto bello: un destro allungato su un tiro dal limite che stava uscendo, con tutti i giocatori del Chievo che protestano per quello che sembra un evidente fuorigioco (che invece non c’è). Ecco, il decimo gol della stagione, il sessantaseiesimo e ultimo nel Bologna.

Che non sia più lui lo si capisce in una partita particolarmente penosa con il Palermo, quando lui e Ramirez partono in contropiede in due contro zero, e il Capitano si incarta e sbaglia un gol che mai e poi mai avrebbe sbagliato.

Il suo addio, al termine di una stagione quasi trionfale e senza cali primaverili, è in un Bologna-Napoli penultima di campionato, in cui il Napoli dovrebbe vincere per andare in Champions, mentre il Bologna gioca tutto per far segnare il suo Capitano nel giorno dell’addio. Paradossalmente, finiscono per segnare Diamanti e Rubin e Di Vaio si fermerà sul palo. Il suo addio, quel giorno, è paragonabile solo a quello di Signori nel 2004.

 

7: L’uomo giusto al posto giusto

Ma se il destino post-rossoblù di Signori è stato bolognese, sì, ma non in senso strettamente calcistico, quel che ha fatto Di Vaio è stato fondamentale.

Dopo Bologna è andato a giocare in Canada, nel Montréal di un certo Joey Saputo. Da questo lato dell’oceano il Bologna lo rimpiazzava prima (benissimo) con Gilardino e poi (malissimo) con Rolando Bianchi, finendo in serie B ancora una volta, con una dirigenza piena di debiti e sull’orlo del collasso. Serviva un altro ricco pazzo, anche non pazzo, al limite. E mentre il Bologna lottava per ritornare in serie A, il Bologna se lo giocavano Zanetti (di nuovo!), sostenuto da Gianni Morandi, e quel bizzarro, pittoresco personaggio di nome Joe Tacopina.

Fino a che, alla fine, attraverso Tacopina, è arrivato Saputo. Al quale il suo bomber italiano Marco Di Vaio aveva sussurrato il nome di quella squadra gloriosa in difficoltà, una squadra che aveva bisogno di un presidente danaroso…

La sera di Bologna-Pescara, finale playoff 2015, mentre il rabberciato, devastato Bologna di Delio Rossi difendeva il risultato minimo con il portiere Da Costa che baciava la santa traversa, colpita per l’ennesima volta in pochi giorni dagli avversari, Di Vaio era a bordo campo, tarantolato, in camicia bianca, nella sua nuova vita da dirigente del Bologna.

Il primo a saltare nel suo terreno verde, al benedetto fischio finale.

Il terreno verde che era stato suo per quattro, indimenticabili annate.

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