Dall’introduzione dei tre punti a vittoria, nessuna squadra campione d’inverno ha mai mancato la qualificazione alla Champions. Il Milan rischia di essere la prima. Analisi di una possibile débâcle
Dalla stagione 1995-96, quella dell’introduzione dei tre punti a vittoria, nessuna squadra campione d’inverno ha mai mancato la qualificazione alla successiva Champions League: basterebbe questo dato per descrivere il surreale finale di stagione del Milan, che dopo essere stata la rivelazione del girone di andata, rischia di gettare al vento un obiettivo fondamentale per il futuro sportivo e societario. Mancano ancora quattro giornate, e i rossoneri sono pienamente in corsa, ma un passo falso nella prossima trasferta sul campo della Juventus sarebbe forse compromettente.
Le ragioni della possibile débâcle sono molte, a cominciare da una lotta per i primi quattro posti mai equilibrata come quest’anno, con la quota Champions destinata probabilmente a superare i 75 punti, un evento raro. Due anni fa, per dire, Atalanta e Inter sono arrivate terze e quarte con 69 punti, con in rossoneri quinti a 68.
Dopo sette anni di lontananza dalla coppa che una volta era il giardino di casa del Milan, quella attuale sembrava essere davvero la stagione giusta per il ritorno del Diavolo in Champions, e per questo tra i tifosi rossoneri serpeggia un misto di rabbia e rassegnazione, con addirittura la ricomparsa dell’hashtag #PioliOut, dopo mesi trascorsi al ritmo di Pioli is on fire.
Se effettivamente non arrivare tra le prime quattro dopo essere stati sempre primi o secondi da inizio campionato fino a prima della 33esima giornata sarebbe un peccato mortale, non va dall’altro lato dimenticato l’eccezionale lavoro svolto da Pioli, soprattutto alla luce di un dato: nessun club in Serie A ha schierato formazioni tanto giovani (24,2 anni di media; la Juventus 27, l’Inter 28,1, la Lazio addirittura 29). Inoltre, era dal 2012/2013 che il Milan non otteneva almeno 69 punti (erano stati 72 quell’anno).
Qualificarsi in Champions League sarebbe fondamentale per lo sviluppo tecnico ed economico del club, basti vedere l’Inter, arrivata quarta nel 2019 grazie a un gol negli ultimi venti minuti dell’ultima giornata e campione d’Italia due anni dopo, ma il Milan rimane una squadra con un futuro promettente e un progetto tecnico valido. Ricominciare di nuovo tutto da capo, probabilmente peggiorerebbe solo la situazione.
Dopo un periodo di assestamento, Pioli (con il supporto di Maldini e della dirigenza) ha dato al Milan un’anima, attraverso un gioco verticale, ambizioso, moderno, e ha valorizzato al massimo gli elementi in rosa: quasi tutti i giocatori rossoneri sono cresciuti, a livello tecnico ed economico, nell’ultimo anno e mezzo. Dal rientro dal primo lockdown, i rossoneri in meno di un anno hanno battuto almeno una volta Juventus, Inter, Lazio, Roma e Napoli, un’abitudine, quella di vincere gli scontri diretti, che il Milan aveva perso da anni. Inoltre, in Europa League i rossoneri sono usciti solo con il quotato Manchester United, giocando alla pari (se non meglio, soprattutto a Old Trafford).
Ma allora, cosa ha smesso di funzionare? Come mai i rossoneri si sono inceppati, non solo abbandonando la corsa allo Scudetto (un obiettivo che nessuno ha mai preteso da questa squadra, ma che pure fino a marzo sembrava possibile) rischiando addirittura di compromettere anche l’accesso alla Champions?
Ci sono degli alibi, certo, come un fisiologico calo di forma dopo una stagione lunghissima, con i rossoneri partiti dai preliminari di Europa League. Le assenze pure hanno pesato molto: Zlatan Ibrahimovic ha saltato 16 partite su 34, Ismael Bennacer 17; immaginate l’Inter senza Lukaku e Brozovic, o la Juventus senza Ronaldo, per tutti quegli incontri.
Inizialmente i rossoneri hanno sopperito bene alla mancanza del leader svedese, ma alla lunga, soprattutto nel momento cruciale della stagione, i suoi gol e la sua leadership sono mancati molto, e la dirigenza ha compiuto un errore di valutazione nell’acquisto di Mario Mandzukic, pensando di ripetere un’operazione simile a quella di Ibrahimovic. Mentre lo svedese arrivava da 53 gol in 58 presenze negli ultimi due anni con i Los Angeles Galaxy, il croato aveva giocato solamente 7 partite nell’ultimo anno in Qatar, segnando un solo gol; non stupisce quindi che non abbia mai trovato la condizione adeguata.
L’arrivo di Mandzukic inoltre ha comportato l’esclusione dalla lista Europa League di Jens Petter Hauge, che pure nei gironi aveva giocato molto bene: un gesto, questo, che ha forse un po’ snaturato l’anima di una squadra arrivata in alto grazie al coraggio e alla freschezza dei suoi giovani. Oltretutto, dopo il disastro delle operazioni Bonucci, Caldara e Higuain, forse sarebbe il caso che per un po’ il Milan evitasse di acquistare ex giocatori della Juventus, anche solo per scaramanzia.
Resta il fatto che negli ultimi due mesi spesso i rossoneri hanno dato l’impressione di essere una squadra scarica. Sta venendo meno l’entusiasmo e a livello tattico Pioli ha faticato a trovare delle variazioni per svoltare partite complicate come quelle contro Spezia, Udinese, Sampdoria e Lazio. Giocatori chiave nella prima parte di stagione come Theo Hernandez e Hakan Calhanoglu hanno perso un po’ di smalto (anche se contro il Benevento sono stati e decisivi e sono sembrati entrambi in crescita), e nelle recenti partite contro il Sassuolo e la Lazio la squadra ha cominciato a sentire il peso psicologico del traguardo che sta sfuggendo. La complicata gestione dei rinnovi e la questione Super Lega hanno probabilmente minato ulteriormente l’armonia di un gruppo che nella prima parte di stagione era stata la vera forza del Milan.
A questo punto, la sfida in casa della Juventus diventa decisiva, e i precedenti non sono incoraggianti: da quando i bianconeri giocano nello stadio nuovo (stagione 2011-2012), il Milan in campionato ha raccolto solo sconfitte a Torino. Ora i rossoneri devono trovare il modo di fare punti contro la squadra di Pirlo e di giocare al meglio le rimanenti (e insidiose) partite contro Torino, Cagliari e Atalanta.
In un mondo legato per forza ai risultati, essere stati virtualmente in testa per un intero campionato a cavallo di due stagioni conta poco, se poi non si porta a casa l’obiettivo, e senza la qualificazione in Champions, viste le premesse, la stagione attuale andrebbe considerata come negativa, ma probabilmente non abbastanza da giustificare un cambio di guida tecnica. Tornare in Champions League, d’altro canto, sarebbe un altro step cruciale nella complicata strada per tornare grandi. Il Milan, in queste ultime quattro partite, si gioca tantissimo.