Dopo aver valutato e valorizzato il patrimonio tecnico, Ancelotti vuole colmare il gap con la Juventus. Con un mercato di rottura rispetto alla tradizione di De Laurentiis.
L’acquisto di Manolas è molto più di un acquisto per il Napoli. È un punto di svolta, l’atto con cui la società partenopea cambia prospettiva, mentalità, intenzioni. Il Napoli, al netto della cessione di Diawara alla Roma per 18 milioni che compensa parzialmente l’esborso economico, spende 36 milioni per il difensore greco, quanti ne richiedeva la clausola rescissoria. E lo fa per un giocatore 28enne che conosce il campionato italiano ed è all’apice dell’ipotetica parabola della carriera, non (più) per un giovane da valorizzare, seppur dal talento cristallino, come poteva essere Fabian Ruiz (l’ultimo calciatore acquistato dal Napoli tramite clausola, per 30 milioni). Il Napoli esce dalla zona di comfort perché annuncia l’intenzione di raccogliere i frutti di una lunga semina: arrivano giocatori pronti all’uso, di livello assoluto, nei ruoli in cui la squadra, in linea teorica, difetta. È quindi una ricerca del dettaglio, della massima resa degli investimenti.
Il centro della difesa era uno di quei difetti, anche se sembra un controsenso vista l’intesa ormai raffinata tra Koulibaly e Albiol: epperò quest’ultimo ha ormai 33 anni e, secondo quanto ha ammesso De Laurentiis, “da due stagioni chiedeva di andare via”. Al suo posto, il Napoli sceglie Manolas anche se si tratta di un difensore diverso. Perché – evidentemente – diverso sarà il modo di difendersi della squadra: in avanti, con più costanza rispetto all’ultimo anno in cui il baricentro si era a tratti abbassato per via del passaggio dal gioco codificato di Sarri a quello più libero di Ancelotti.
Quindi il Napoli avrà più campo alle spalle della difesa, campo che Manolas è maestro nel coprire in rimonta. Non solo: il greco è abile anche nel difendere in corsa lateralmente, occupando in corsa lo spazio alle spalle dei terzini, che secondo Ancelotti devono essere proiettati in avanti in contemporanea (come dimostra la continuità concessa a Malcuit, a discapito del più difensivo Hysaj). L’acquisto del centrale giallorosso suggerisce quindi la direzione che il tecnico ha intenzione di percorrere per la seconda versione del suo Napoli, ovvero quella di una squadra ancor più dominante, che non abbia timore nel concedere qualche spazio in più a campo aperto sulle ripartenze avversarie perché consapevole di avere due difensori in grado di sobbarcarsi ampie porzioni come Manolas e Koulibaly.
Ma l’arrivo di Manolas è significativo anche per il messaggio che porta in dote al di là del campo. Con il greco, il Napoli annuncia di avere la forza economica per strappare ad una diretta concorrente come la Roma uno dei suoi migliori giocatori al prezzo di clausola, e di avere ormai raggiunto uno status da top-team, tale per cui i giocatori di alto livello sono disposti con piacere ad accettare la destinazione. La presenza di un tecnico riconosciuto come Ancelotti gioca un ruolo fondamentale in questo processo di ascesa dell’immagine del Napoli, nonostante i risultati ottenuti nel primo anno di gestione suggeriscano il contrario.
La verità, però, è che la prima stagione di Ancelotti è stata vittima di un fraintendimento collettivo: l’arrivo di un allenatore il cui curriculum è decisamente superiore a quello del Napoli aveva suggerito ai più che potesse bastare il suo sbarco in una rosa rimasta sostanzialmente identica all’anno precedente per compiere il salto di qualità definitivo. Invece, la squadra, ai punti, è peggiorata: se nell’ultimo anno con Sarri aveva lottato per il campionato fino alle ultime giornate, nella prima stagione con Ancelotti non ha mai dimostrato di potersi avvicinare alla Juventus. Ma è proprio questo il punto chiave: la stagione del presunto salto era in realtà un’annata di passaggio obbligatoria tra un mondo e un altro, tra l’idea di poter raggiungere un trofeo attraverso il gioco e quella di poterlo fare tramite lo smembramento di questo gioco in favore di una maggiore libertà e valorizzazione dei singoli.
Ancelotti ha decostruito il Napoli per valutarlo con oggettività, per pesare il valore di ogni calciatore senza l’influenza del gioco di Sarri, che alterava alcuni dati. Così ha capito a che punto era la rosa, quali erano i difetti e quali i pregi nascosti. Poi ha costruito un nuovo Napoli, sfruttando l’assenza di un reale obiettivo in campionato per svezzare e consolidare alcuni giocatori che d’ora in poi saranno le colonne portanti della squadra, come Fabian Ruiz, Zielinski e Milik. Al netto dei risultati, si può dire che il Napoli sia migliorato rispetto ad un anno fa, o che almeno non dia più la sensazione di essere all’apice, semmai di avere ancora un largo potenziale inespresso.
Ancelotti ha preso appunti durante la stagione, poi li ha presentati a De Laurentiis. La conclusione a cui è arrivato può sembrare banale, ma non è banale il fatto che il presidente sia disposto ad assecondarla: il Napoli è ricco di giovani talenti cristallini, non ha bisogno di aggiungerne altri perché ha un futuro garantito, dunque servono calciatori di sicuro impatto, già consolidati ad alto livello, che possano alzare il livello competitivo della rosa nell’immediato sia per quanto riguarda la qualità tecnica che per la mentalità. Manolas è questo tipo di giocatore, così come lo è James Rodriguez e come potrà esserlo, almeno in parte, Lozano, il cui status è già internazionale nonostante i 23 anni. In sostanza, il Napoli sta compiendo un passo decisivo in avanti che per un paio di anni aveva procrastinato, forse a ragione visto che questi anni sono serviti a consolidare il livello della rosa e ad accumulare risorse per arrivare a giocatori di qualità superiore. Pochi, ma top, e soprattutto acquistati da club abitudinari in Champions League.
Questi calciatori aggiungono consapevolezza ad una squadra che ha peccato proprio sotto questo punto di vista. Il Napoli lo scorso anno ha dato l’impressione di sottovalutarsi, almeno in alcuni frangenti della stagione, forse perché ha dovuto assorbire una rivoluzione tattica e filosofica e si è sentito, soprattutto all’inizio, denudato e smarrito. In realtà il potenziale del Napoli è straordinario, è una squadra con pochi difetti e molti pregi, con una stratificazione tattica che la rende adatta ad ogni tipo di partita e con una varietà di interpreti unica nel panorama italiano, se non anche quello europeo.
Però è rimasta una bozza di grande squadra, ostacolata anche da un campionato di passaggio, senza obiettivi concreti. Il Napoli ha giocato per accrescere il proprio valore, senza un pensiero alla vittoria dello scudetto, al dovere di raggiungere la Juventus, ed è questo il motivo per cui il mercato in corso è diverso dai precedenti: avere una spinta nuova dall’esterno, una nuova linfa che possa riverberare in una squadra parzialmente inespressa e spingerla al livello superiore. Il cambiamento di approccio sul mercato, indotto da Ancelotti e assecondato da De Laurentiis, è coerente con le necessità del Napoli, non è la pretesa di un allenatore vincente nei confronti di una società con cui non è riuscito a vincere. E lo dimostra il fatto che la scorsa estate, Ancelotti non ha chiesto alcunché: sarebbe stato un anno di rottura nel modo di giocare, oltre che di valutazione del patrimonio tecnico, quindi il cambio di strategia sul mercato non avrebbe avuto senso, semmai avrebbe portato confusione.
Il Napoli si è accorto di essere nella condizione ideale per scommettere su se stesso. Oltre all’Atalanta, è infatti l’unica delle prime sei squadre del campionato a non aver cambiato allenatore. Può quindi ricominciare dal punto in cui aveva terminato, un punto in cui il valore della squadra è superiore anche a quello a cui l’aveva lasciata Sarri perché al netto del calo dei punti è cresciuta la consapevolezza della maggior parte dei calciatori. Rimandare di un altro anno la scommessa per un salto di qualità definitivo sarebbe stato illogico perché avrebbe appassito il lavoro di Ancelotti: ritrovarsi tra un anno allo stesso punto, autori di una stagione buona ma mai potenzialmente ottima, innescherebbe un cortocircuito letale nell’ambiente e all’interno della squadra. Interromperebbe, in sostanza, un percorso di crescita lento ma costante e inesorabile. Dovessero andare in porto tutti i nuovi acquisti programmati, il Napoli velocizzerebbe questo tragitto e probabilmente chiuderebbe il cerchio, arrivando ad una forma definitiva e difficilmente migliorabile. Una volta giunti a quel punto, non rimarrà che vincere.
Foto: Getty Images.