Ecco un estratto preso da “Sarò sempre al tuo fianco. Dieci momenti che mi hanno fatto amare Alessandro Del Piero”, il libro scritto da Francesco Gavatorta per Ultra Sport (che ringraziamo).
Nel 2002, forte anche dei sedici gol segnati in campionato (ventuno complessivi contando le coppe), Alessandro viene convocato da Trapattoni. Nonostante lo straordinario recupero da un grave infortunio al ginocchio, il tecnico di Cusano Milanino decide di non portare Roberto Baggio in Asia preferendogli Cristiano Doni dell’Atalanta, e scatenando così un putiferio alimentato dalla vox populi. I tifosi continuano a invocarne la convocazione, nonostante la presenza in rosa di Del Piero e Totti, magari a discapito proprio del primo. Sin dall’inizio, Alessandro cerca di focalizzarsi mentalmente sulle condizioni diverse fra i due tornei: «Dico solo che tra la Francia e il Giappone mi presento in condizioni fisiche completamente diverse. Lì dovevo recuperare da un infortunio, qui, grazie al cielo, sto bene. E in più sono bello carico psicologicamente, dopo la vittoria bellissima dello scudetto».
Per scaricarsi dalla pressione e darsi un segnale di discontinuità, evitando così di non attirarsi troppo le attenzioni della critica, non pretende la maglia con il 10 ma sceglie di vestire la casacca numero 7, che come non manca mai di ricordare è stato il suo primo numero da bambino.
Nelle prime due partite del girone contro Ecuador e Croazia, Alessandro gioca solo per un non memorabile quarto d’ora nella partita di debutto, sostituendo Totti. Contro il Messico, partita decisiva per qualificarsi alla fase successiva, rimane in panchina fino al 78’: Trapattoni parte con Totti, Vieri e Inzaghi in attacco. Al 34’ Borgetti porta in vantaggio i centroamericani: anche con un risultato sfavorevole, l’Italia passerebbe come seconda, grazie alla contemporanea sconfitta della Croazia con l’Ecuador e la miglior differenza reti. Sarebbe comunque un risultato piuttosto imbarazzante per una squadra candidata ad arrivare in fondo alla competizione. All’85’, il subentrato Montella (c’è da dire che Trapattoni durante quel torneo potrà attingere da una panchina dall’altissimo tasso tecnico) controlla una rimessa laterale e di sinistro, con una torsione veramente notevole, scodella in area un pallone imprevedibile diversi metri più avanti rispetto la linea dei difensori.
È quel tipo di passaggio che piace agli attaccanti veloci e di rapina, che solitamente sono bravi a tagliare in diagonale la linea della palla per anticipare con il movimento i propri marcatori. In area il più vicino è Vieri, ma alle sue spalle Del Piero, con una velocità doppia rispetto al resto degli avversari si lancia verso il pallone, come se avesse capito prima di tutti cosa sta per accadere. Intanto, la palla ha rimbalzato a metà fra il dischetto e l’area piccola, perdendo forza e velocità e rimanendo sospesa in aria con pigrizia in attesa di uscire dalla linea di fondo. Del Piero si avventa con coordinazione sul pallone e colpisce di testa lasciando impalato Perez, che accenna solo il tuffo mentre guarda la sfera entrare in rete. Alessandro esulta con il dito alzato e si butta sotto la tribuna dei supporter azzurri, facendo un gesto che probabilmente più liberatorio non si può. La cosa più particolare di quel momento però non si vede in campo, ma in cabina di telecronaca. Riascoltando la telecronaca della Rai, fa sorridere che sia Bruno Pizzul, sia Giacomo Bulgarelli (ai microfoni per raccontare la partita) perdano la loro proverbiale compostezza per scatenarsi al gol del capitano bianconero, in un affastellarsi di voci che fanno vibrare il microfono come se invece che in diretta sulla rete nazionale fossero a casa a giocare al karaoke: quando la palla supera la linea di porta si parte con un mix confusissimo di «c’è il gol, il gol!» e «Del Piero!», fino a quando Bruno Pizzul, con Bulgarelli in sottofondo che certifica con un «grande!», forse resosi conto che gli è scappato il piede dalla frizione (al ritorno in Italia, a quanti gli ricorderanno quella telecronaca troppo da tifosi, dirà: «Certe partite con gli azzurri implicano una tensione passionale singolare.
L’emotività rivaluta il fenomeno calcio, trasmette sentimenti alla gente, guai se non ci fosse») riesce a scandire due volte «gol di Del Piero» prima di lanciarsi in una filippica liberatoria: «segna proprio Del Piero, quello che non giocava mai, quello che gli dicevano perché non lo fai giocare», mentre l’ex centrocampista del Bologna teorizza che Alessandro sia più stanco adesso di quando giocava sempre. È un reperto audiovisivo che racconta meglio di tante altre cose come quel gol sia stato atteso più di quanto sembrasse, una maledizione interrotta che pesava sulla testa non solo su un giocatore, ma attorno a una squadra e un intero movimento. Suonano profetiche le parole del CT dei messicani Javier Aguirre, che prima della partita, alla domanda su chi temesse di più della selezione italiana, aveva risposto: «Alessandro Del Piero. È un uomo di grande talento, quello che può risolvere la partita».
Di quell’esultanza, Del Piero parlerà come di un gesto di connessione: «Il dito puntato verso l’alto di Oita aveva molti significati, ed è chiaro che il primo pensiero è corso alla memoria di mio padre Gino. Ma assieme al suo, in questi giorni ho sentito il sostegno di tante altre persone, dai miei cari ai tifosi, ed è per questo che ho parlato di una lunga lista di dediche». Torna il tema di un rapporto in grado di sospingere il campione, che è ormai a tutti gli effetti parificato a un profeta: un rapporto con i “tifosi” che Del Piero non manca mai di citare, e che sembra dargli l’energia necessaria a sopportare il dubbio che continua – nonostante le ripetute conferme del suo effettivo “ritorno” – ad aleggiare intorno alla sua figura.
Per gentile concessione di Lit edizioni S.a.s.