Per la successione di Hansi Flick il Bayern Monaco ha scelto un tecnico di neanche 34 anni senza alcun trofeo in bacheca, e ha sborsato circa trenta milioni di euro per svincolarlo dal Lipsia. Perché il predestinato Julian Nagelsmann può essere la scommessa vincente del club bavarese
Dieci giorni. Tanto è intercorso tra le dimissioni formalmente rassegnate da Hansi Flick in diretta tv e il comunicato ufficiale con cui il Bayern Monaco ha annunciato Julian Nagelsmann come nuovo allenatore a partire dall’1 luglio 2021. In Germania, si sa, perdere (o prendere) tempo non è un’attività contemplata. Men che meno in Baviera. Anche quando si tratta di sostituire un allenatore che ha vinto letteralmente ogni cosa.
Il nome dell’attuale tecnico del Lipsia gravitava da tempo intorno a Säbener Straße, la centrale operativa, sede e campo d’allenamento. Sin dalle prime voci di screzi tra Flick e il direttore sportivo Hasan Salihamidzic la stampa tedesca lo ha proposto come candidato unico, in maniera quasi naturale. Spiazzante per alcuni, se si guarda la carta d’identità: 34 anni da compiere il prossimo 23 luglio. Più giovane di Neuer, un anno in più di Lewandowski, due più di Müller.
Conta il curriculum: cinque stagioni e mezzo di Bundesliga, due con il Lipsia e le restanti con l’Hoffenheim. Una semifinale di Champions League con i Roten Bullen. Un secondo e un terzo posto. Due top four con il piccolo club di Sinsheim, portato anche in Champions. Trofei, per ora, nessuno. Anche se quest’anno ha buone chances di portarsi a casa la DFB-Pokal.
Il palmarès ancora vuoto è stato uno dei principali temi di discussione relativamente alla decisione del Bayern di affidare la propria panchina a Nagelsmann, sborsando peraltro una trentina di milioni per rompere il vincolo contrattuale che lo legava al Lipsia. Fosse stato per Rummenigge e soci, la prima scelta per la stagione 2021/22 sarebbe stata ancora Hansi Flick. Come era la prima scelta Heynckes nel 2018, quando è stato nominato Niko Kovac al posto di Herr Jupp, tornato ad interim dopo il breve interregno di Ancelotti.
L’ultimo allenatore “senza trofei” a cui il club bavarese ha deciso di affidare la panchina è stato proprio Kovac, che ha sì messo in bacheca la DFB-Pokal con l’Eintracht Francoforte nel maggio 2018, ma era stato annunciato a Monaco un mese prima. Situazione estremamente simile a quella di Nagelsmann, da questo punto di vista. L’esperimento del croato è durato un anno e qualche mese, prima dell’esonero, la promozione di Hansi Flick a novembre – che da luglio gli faceva da vice, o forse qualcosa in più – e il resto è storia. L’altro precedente: Jürgen Klinsmann, chiamato nel 2008, a due anni di distanza dal fallimento del Mondiale 2006. L’epilogo: esonero a poche giornate dal termine della prima stagione e Meisterschale nella bacheca del Wolfsburg.
A differenza di Kovac e Klinsmann, però, Nagelsmann è considerato all’unanimità un predestinato. Sin dal suoi esordi con l’Hoffenheim, preso in mano in situazione disperata a febbraio con la squadra apparentemente già condannata alla Zweite e invece salvo a giugno. L’anno dopo, quarto posto. Undici posizioni guadagnate nel giro di dodici mesi tenendo una media di quasi due punti a partita. L’annata successiva, un altro step in avanti. Terzo posto e qualificazione in Champions League, quella sfumata nell’agosto 2017 al preliminare per mano del Liverpool di Klopp.
La crescita non ha stupito chi lo conosceva già dai tempi dell’Hoffenheim, come Hansi Flick, proprio il tecnico che gli lascia il posto e che ha lavorato insieme a lui da dirigente da luglio 2017 a febbraio 2018. Non ha stupito nemmeno Thomas Tuchel, che nella stagione 2007/08 guidava la seconda squadra dell’Augsburg in cui giocava il ventenne Nagelsmann e l’anno scorso lo ha ritrovato in semifinale di Champions League da avversario. “Ero il suo allenatore, ma era sempre infortunato. Non abbiamo potuto fare molte cose. Gli abbiamo proposto di fare l’osservatore studiando gli avversari, visto che era molto preciso”.
Da calciatore, Nagelsmann è cresciuto nel Monaco 1860. Poi ha capito che la sua strada doveva essere un’altra. Ed è finito ad allenare i rivali della squadra del quartiere di Giesing. Non ha mai tenuto nascosta la sua passione dell’infanzia per il Bayern. Nel 2017 aveva dichiarato di essere “molto felice della vita, ma che il Bayern l’avrebbe resa ancora più felice”. Già dal suo passaggio al Lipsia nel 2019, voluto da Ralf Rangnick e annunciato con un anno d’anticipo, il suo nome è stato costantemente avvicinato alla panchina più ambita della Bundesliga.
A Lipsia aveva firmato un quadriennale con scadenza 2023, la stessa deadline che il Ceo Rummenigge aveva fissato per il contratto di Hansi Flick nella primavera del 2020. Probabilmente non una casualità. Come poteva non essere un caso la scadenza di contratto del CT della Germania Joachim Löw dopo il Mondiale 2022 (che si giocherà in autunno). L’effetto domino si è verificato con due anni d’anticipo rispetto alle scadenze. Con le dimissioni di Löw dopo Euro 2020, quelle di Flick a fine stagione e i 30 milioni sborsati dal Bayern per accaparrarsi Nagelsmann.
Definirlo un “piano B”, comunque, sarebbe una semplificazione eccessiva e probabilmente anche un’affermazione errata. Smentita peraltro da un contratto di cinque anni e dal pagamento di un indennizzo con cui altri club acquistano calciatori di buon livello.
Considerando anche i 42 milioni spesi per Upamecano – anche quelli finiti nelle casse del Lipsia – il Bayern ha di fatto dilapidato quella che per la stampa tedesca era la capacità di spesa per questa finestra di calciomercato, i famosi “soldi in cassa”. Giova ricordare che a Monaco gli investimenti vengono pesati con la bilancia di precisione e che i soci festeggiano più un bilancio in positivo con un profitto operativo che un Meisterschale. L’indennizzo pagato per Nagelsmann rischia di compromettere acquisti importanti, come un terzino destro e un centrocampista, oltre che di un vice di Neuer qualora Nübel dovesse andare in prestito — scenario che trova riscontri sulle pagine dei giornali di Monaco.
Il mercato dei calciatori sarà indubbiamente penalizzato e “la rosa più debole rispetto a quella dell’anno scorso” – punto di vista di Hansi Flick un mese fa – forse non sarà rinforzata a dovere. È anche vero che la priorità del Bayern al momento è rinnovare i contratti di Goretzka, Süle e Kimmich e l’idea di Salihamidzic potrebbe essere quella promossa da Rummenigge in più occasioni: 15-16 potenziali titolari e poi tanti giovani a completamento, sfruttando un Campus che in termini di crescita dei talenti sta facendo ottimi passi in avanti. Al momento, quest’ultima prospettiva sembra essere particolarmente credibile. Per inciso: Musiala rientra nei 15-16, a prescindere dall’età (18 anni compiuti a febbraio). E le decisioni sulla rosa le prende il board. Con buona pace di Flick.
L’allenatore però conta. Tanto. Il cambio di passo portato da Flick rispetto a Kovac ha anche lasciato un insegnamento al Bayern riguardo l’influenza tecnica. La società poteva optare per scelte più low cost: si erano fatti i nomi di ten Hag e van Bommel. Ha scelto invece Nagelsmann, le cui doti non sono un segreto e per certi versi nemmeno i metodi molto particolari: il ponteggio che ha fatto installare al campo d’allenamento del Lipsia, lo schermo di tre metri per sei sopra il campo, i droni, i macchinari sviluppati da Red Bull che venivano utilizzati per migliorare le capacità cognitive dei giocatori. Un pizzico di eccentricità che lo porta ad essere unico.
Avendo lavorato in contesti come Hoffenheim e Lipsia, il classe 1987 è abituato ad essere il fulcro di tutto. Nessuno a Sinsheim ha mai messo in discussione una sua scelta e nemmeno con i Roten Bullen ha lesinato esperimenti a volte decisamente poco riusciti, soprattutto sotto il profilo tattico. Questa eccentricità è stata la sua forza e ciò che lo ha reso un allenatore riconosciuto come tra i migliori. In termini statistici, la presenza di Nagelsmann al Lipsia è valsa 0.2 punti a partita in più rispetto ai precedenti, mentre l’Hoffenheim dopo il suo addio ne ha persi 0.3 a partita. Dal suo arrivo in Bundesliga, Nagelsmann ha una media punti inferiore soltanto a Bayern, Lipsia (prima che arrivasse) e Dortmund.
A Monaco il neo-tecnico dovrà cercare di non abbassare la media di 2,4 punti a partita degli ultimi anni, ma soprattutto dovrà adattarsi ad una realtà diametralmente opposta a quelle in cui ha operato finora. Una realtà nella quale l’esigenza primaria sarà quella soddisfare i fuoriclasse di cui dispone. Per la prima volta in carriera, Nagelsmann non sarà la star, ma dovrà rispettare le esigenze di altre star. Un cambiamento radicale nel modo di pensare il proprio lavoro. L’addio di diversi veterani può essere considerato un vantaggio, se si pensa a quanto fossero invisi allo spogliatoio Ancelotti e Kovac. Così come è un vantaggio poter gestire una squadra più giovane e conoscere già alcuni elementi della rosa come Süle, Upamecano e Gnabry.
I cinque anni di contratto pongono Nagelsmann di fronte alla sfida più grande: far digerire al Bayern Monaco un altro ricambio generazionale, mettendo lentamente da parte Neuer, Müller e Lewandowski, tutti in scadenza di contratto nel 2023. Anno nel quale sarebbe scaduto il contratto di Hansi Flick e anno nel quale la finale di Champions League si gioca all’Allianz Arena. Dopo la bruciante sconfitta del 2012, a Monaco ci sono motivazioni in più. Anche i fuoriclasse sanno di avere una data di scadenza e toccherà a un loro quasi coetaneo farglielo accettare. Paradosso. Forse.
Nella testa di Nagelsmann, sopraffino pianificatore, certamente c’era già un futuro prossimo in Baviera. Aveva tutto chiaro in testa — se no perché rifiutare il Real Madrid nel 2018? Neanche lui forse pensava che quel futuro sarebbe stato così prossimo. O forse non pensava di essere così avanti. Magari avrebbe voluto provare a batterlo sul campo, il Bayern, sfatando un tabù che dura da nove anni, dai tempi del Dortmund di Klopp.
“Lasciare Lipsia così presto non era nei miei piani – ha dichiarato in conferenza stampa – non pensavo di andare via dopo soli due anni, ma ho detto al Ceo Mintzlaff che avrei chiesto di partire solo per andare al Bayern. Ho ricevuto tante proposte”.
In effetti, lasciare un percorso a metà non sarebbe da Nagelsmann. Ha comunque il modo di chiudere il cerchio vincendo la DFB-Pokal, portando al Lipsia il primo trofeo della propria storia a livello professionistico. Sapeva che prima o poi in Baviera ci sarebbe finito e il 2023, per tutte le ragioni di cui sopra, sarebbe stato il momento ideale, con la squadra pronta ad affrontare un nuovo ciclo.
Qualcuno sostiene che il classe 1987 arrivi sulla panchina più importante della sua vita forse un po troppo presto. Dall’altra parte, però, non c’è alcun dubbio che a lungo termine si rivelerà una scelta vincente. Per entrambi. C’è stata l’occasione, il Bayern l’ha colta, Nagelsmann pure. Consapevole che l’inizio potrebbe essere più complicato del previsto. Anche perché la successione di chi ha vinto tutto come Hansi Flick è quanto più ostico si possa immaginare. Su un punto non ci sono dubbi: al ragazzo di Lansdberg am Lech le sfide piacciono da morire. E il Bayern a 34 anni è già la più grande della sua carriera.