Quale futuro per Ivan Juric?

In un calcio abituato a battezzare predestinazioni, Ivan Juric è considerato un emergente eterno nonostante le sue oltre cento panchine di A e una promozione dalla B. E ora per il croato è arrivato il momento di una scelta importante

Gli hanno appena dedicato un libro, a Verona. I guerrieri di Juric, s’intitola, e suona un po’ come il premio alla carriera di una storia che magari continuerà, ma potrebbe non proseguire. «Resto? Non so. Voglio competere, non mi interessano i soldi. Dipende dagli obiettivi. Se c’è la voglia di crescere come squadra…», così recita l’ultimo dei mind games di Ivan Juric indirizzato al presidente dell’Hellas Maurizio Setti, che pure lo scorso luglio gli ha rinnovato il contratto sino al giugno 2023.

Saranno settimane dirimenti per il futuro, le prossime, anche perché dall’una e dall’altra parte andranno fatte valutazioni che si scontrano anche con il peso dell’ego. Non che a Verona non sia possibile migliorare, certo però non più di tanto, e a questo punto la realtà deve guardare negli occhi l’ambizione e Setti – che non è uno da spese folli sul mercato, ma ci sta prendendo gusto a smentire le Cassandre – sa benissimo che tenerlo non sarà facile.

Senza tanto girarci attorno, dal limbo della bassa parte sinistra della classifica è difficile scalare se non si è estremamente strutturati, perché sette squadre le hai pressoché sempre davanti, e se il Sassuolo – a proposito di società strutturate – azzecca la stagione diventa improbabile anche qualificarsi per la Conference League. Servirebbero diversi anni di Juric, al Verona, per raggiungere quel livello, ma viene francamente difficile pensare che ciò possa accadere e soprattutto, se accadesse, diventerebbe nell’immaginario collettivo l’Hellas di Juric, non quello di Setti, e nel calcio italiano non esiste o quasi presidente che possa accettare di lasciare il ruolo di deus ex machina ad un tecnico, ben sapendo che poi, il giorno del suo eventuale addio, l’identificazione totale dell’ambiente con il tecnico renderebbe la ricostruzione un problema serio.

Eppure in una Serie A abituata a fughe in avanti e a battezzare predestinazioni, Ivan Juric è considerato ancora un emergente. Un emergente eterno, con le sue oltre cento panchine di A, una promozione dalla B e, risalendo, persino una annata completa in C, la guida di una Primavera e pure l’apprendistato da vice (di Gasperini). Non ultimo, ha vissuto anche la combinazione assunzioneesonerosubentroconfermaesonerosubentroesonero, altrimenti conosciuta come tortura-Preziosi, quella che può fare di un tecnico un uomo forte con un destino forte; insomma, è in pista da un buon decennio. Carriera lineare, gavetta addirittura, uno che oggi piace senza mai essersi curato di piacere, con il suo modernissimo calcio fuori moda e la fama di portatore sano di plusvalenze.

Dal punto di vista strettamente calcistico, chi vi si affida non sbaglia. Il croato, ovunque ha allenato, ha messo in pratica, realizzandoli, concetti e strategie che lo caratterizzano: difesa a tre, una marcatura a tutto campo sull’uomo che limita ipso facto le imbarcate difensive, un gioco da battaglia collettivo ricco di soluzioni offensive che non passano dalla vena realizzativa di un bomber puro ma portano a rete una significativa quantità di giocatori (16 nel Mantova 2014-15 dove il miglior marcatore in campionato fu Said con 5 reti, 18 l’annata seguente a Crotone con 16 gol di Budimir, 14 nel Verona 2019-20 con Di Carmine top scorer a 8, 13 sinora in questo campionato), una costante rincorsa all’avversario che ruba palla, una tigna dispendiosa fin che si vuole ma che mira a non lasciare tempo per ragionare, a provocare l’errore, a tentare di recuperare il possesso per sfinimento.

Un calcio che non teme l’uno contro uno, anzi lo incita, e necessita di giocatori ai quali ciò che non deve fare difetto è l’applicazione. Sbagliare non è un problema, sedersi sì. Da un certo punto di vista, il calcio di Juric – dove ogni giocatore deve avere un compito e dove non si può rallentare – è l’antitesi perfetta del calcio sornione di Allegri. Del resto chi ricorda Juric da giocatore – nove stagioni tra Crotone e Genoa, dove appunto è tornato da allenatore – può ritrovarlo in un aggettivo: fastidioso. In assenza di talento puro o fisico da marcantonio, la carriera se l’è costruita con il dinamismo, la capacità di leggere le situazioni e quello spirito che, all’avversario di turno, dava noia per il semplice fatto di essere sempre fra i piedi. Sempre.

C’è coerenza fra la veste del calciatore che fu e quella del tecnico che è oggi, fra il suo peso specifico nelle squadre in cui ha giocato e il mutuo soccorso che introietta nelle menti dei ragazzi che allena, pertanto non è un caso se alcuni degli uomini lanciati da Juric – e ceduti dai rispettivi club appena hanno visto il valore aumentare a dismisura dando ossigeno ai bilanci – al 30 giugno 2020, la voce plusvalenze nei conti dell’Hellas era triplicata – si sono poi trovati in difficoltà altrove, senza la sua guida ma soprattutto senza la comfort zone del suo calcio. Il primo gol da professionista in Italia di Emmanuel Gyasi è arrivato nel Mantova di Juric che fu il primo a dargli una maglia con una certa regolarità, nel suo Crotone ha trovato la stagione migliore della sua carriera un Federico Ricci mai rivisto a quei livelli, a Verona prima ha fatto esplodere giocatori su cui in pochi avrebbero scommesso – Kumbulla, Rrahmani e Amrabat, subito ceduti a Roma, Napoli e Fiorentina, ma pure Verre e Di Carmine – e rispedito a Bergamo e alla Nazionale un Pessina più completo, quindi non ha avuto remore nel gettare in mischia Lovato, dare fiducia a uno Zaccagni assurto da mestierante a nuova sensazione del calcio italiano. Ha rivitalizzato un Barak e ricavato oro da Tameze e Colley, che sono di proprietà dell’Atalanta e Gasperini non poteva sperare di meglio che affidarli al suo discepolo prediletto ma diverso.

Efficacia ammantata di agonismo in campo, concretezza e carattere fuori. Negli annali, nel giorno della promozione del Crotone in A ottenuta in casa del Modena, resta un piccato «cazzi vostri» a un giornalista che in  diretta insisteva ad invitarlo a non prendere sottogamba gli impegni successivi, essendo in programma la sfida contro una rivale degli emiliani per evitare la retrocessione (per la cronaca: il Modena avrebbe fatto appena un punto nelle ultime tre gare, segno che la squadra da indirizzare nel modo giusto non era certo il Crotone). Juric non è uno che bluffa, non gioca con la diplomazia ed è capace – attraverso la creazione di un personaggio che ha fama di schiettezza ed eterodossia – di trascinare squadra e tifo dalla sua parte. In questo senso Napoli – per la suscettibilità e la teatralità di De Laurentiis – non sembrerebbe proprio fare al caso suo, ma per gli azzurri il gioco potrebbe valere la candela, e forse soprattutto per una Fiorentina – Pradè, peraltro, lo aveva già cercato nel 2020 – che necessita in panchina di un volto fresco e di una personalità forte. Esattamente ciò che a Juric non manca.

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