Alfredo non è più l’altro Donnarumma

Tre gol nelle prime 3 partite dopo aver esordito in A a 29 anni. Così l’attaccante del Brescia sta contribuendo a far cadere il mito del bomber di categoria, quello capace di segnare solo in cadetteria. Ora il sogno è ripercorrere le orme di Dario Hubner

È l’etichetta quella che ha rischiato di fregarlo. Tanto che, nel suo modo di esultare, c’è tutto il senso della rivincita sui soloni che gli avevano messo il marchio, a lui come a tanti altri. Solo che lui, Alfredo Donnarumma, stavolta è sulla buona via per far saltare il banco.

Tre reti nelle sue tre prime apparizioni in Serie A con il Brescia: il rigore decisivo per la vittoria nel debutto a Cagliari, le due reti (di testa a con un destro a giro) dell’effimero dominio sul Bologna, ma soprattutto la conferma della capacità di incidere nel gioco e pesare in zona gol. 29 anni il 30 di novembre, Donnarumma ha perso la A in più di un’occasione: nel Catania dove non ha mai esordito, ed è storia di quando di anni ne aveva poco più di venti, sino alla stagione in cui, con la maglia dell’Empoli, la coppia formata con Francesco Caputo – 49 reti in due: 23 il napoletano, 26 il barese – ribaltò la B riportando i toscani nella massima serie. I toscani, non lui che rimase in cadetteria e finì a Brescia. Risultato? 25 reti, titolo di capocannoniere, promozione, conferma e finalmente l’occasione della vita; il tutto in attesa del ritorno dalla squalifica di Balotelli, inevitabilmente destinato a modificare alcuni equilibri, ma difficilmente a privarlo della ribalta, perché ora su di lui il marchio “bomber di categoria” – leggasi: categoria inferiore –sta sbiadendo.

Donnarumma si ritrova così sulle orme dell’ex compagno di squadra e amico, Caputo appunto, un altro degli etichettati, rimasto tale ben oltre i trent’anni, quando alla prima vera stagione da titolare in A di reti ne ha segnate 16. Per dire: fra i cadetti la doppia cifra l’aveva raggiunta sei volte (in quattro occasioni superando quota 15) dopo averlo fatto anche in C ed essere rimasto a lungo imprigionato in una definizione sufficientemente subdola, perché a leggerla così sembra quasi che chi le cose dimostra di saperle fare – per un attaccante s’intendono i gol – e le fa con continuità, sia destinato a rimanere sempre lì, schiavo delle aree di rigore meno patinate, la vita da mediano applicata per paradosso al bomber che fa godere.

Alfredo e i suoi fratelli ne sanno qualcosa. Il paradigma resta Dario Hubner, del quale a fare una ricerca sul web oggi si può leggere di tutto e tutto in termini epici – intendiamoci: il personaggio è adatto – ma che prima dei trent’anni e spiccioli dalla A era stato totalmente snobbato, nonostante cinque campionati di fila in doppia cifra a Cesena in B. Fra i grandi lo portò il Brescia: 4 gol nelle prime due in A, quindi la coppia con Baggio, infine l’apice come capocannoniere accanto a Trezeguet. Solo che il francese giocava nella Juventus, era già stato decisivo in un Europeo, a 25 anni era sulla breccia già da un lustro, mentre Hubner di anni ne aveva 35, vestiva la maglia del Piacenza e vederlo sulle copertine dava l’idea dell’esistenza di una mobilità sociale verticale positiva e meritocratica. Che era ed è una balla colossale, ma a qualcosa bisogna pure attaccarsi.

Il luogo comune sui bomber di categoria, tuttavia, non nasce nel vuoto, e si nutre alla radice delle storie di chi, magari, in B è esploso magari anche piuttosto giovane, la A se l’è guadagnata ma la scommessa è andata male, o almeno non come le prospettive lasciavano supporre. Mille i potenziali motivi: aspettative esagerate, un allenatore che non ti vede, un nuovo acquisto dal cognome esotico o dal procuratore influente, la nomea – appunto: il marchio – di quello che sì, in B può starci, ma poi? Ipotesi di scuola per vicende reali.

Calati nei rispettivi contesti temporali e calcistici, i Rebonato e i Pacione, i Bivi e i Garlini hanno contribuito, loro malgrado, alla conferma di uno stereotipo del quale, successivamente e in parte, hanno subito le conseguenze giocatori che, certo meno raffinati, un’opportunità reale in A nel momento di grazia (quando le palle vanno dentro sempre e comunque: il Francioso bomber in B tra il 1996 e il 2000, ad esempio, ma i nomi potrebbero essere diversi) l’avrebbero meritata.

Così, a un Christian Riganò il quale, per una rara congiunzione astrale, è arrivato un giorno dove forse non avrebbe nemmeno più sognato (19 reti nel Messina 2005-06), o a un Gionatha Spinesi che la A se l’è ripresa a 29 anni dopo averla frequentata da ragazzo senza acuti, fanno da contraltare i Cacia e i Godeas, i Bucchi e i Lapadula che, nonostante l’abbonamento al tabellino dei marcatori, in A non hanno goduto di un happy end alla Hubner. Ingabbiati nell’etichetta, bollati da una classificazione. Fregati.

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