«Lei crede possibile che un uomo possa passare sulla terra senza aver detto nulla di quello che ha nel cuore e senza avere la sua parte?»
Corrado Alvaro, L’uomo è forte.
Stavolta il meteo non sembra essersi sbagliato. Il pomeriggio del 15 ottobre piove davvero. E anche parecchio. Per tutto il giorno un cielo color ghisa bombarda l’Oreste Granillo con un’artiglieria fatta di gocce grasse e fitte, proiettili a salve che tamburellano contro le teste degli 11mila 700 spettatori in piedi su quel mostro di cemento armato.
Walter Mazzarri cammina da solo verso il tunnel degli spogliatoi. Un passo alla volta. Il piede sinistro dopo quello destro. Il piede destro dopo quello sinistro. Ancora e ancora e ancora. È protetto appena dalla stoffa bianca e amaranto della divisa sociale, eppure non si accorge neanche di quella pioggia che sembra bucare la pelle e farsi strada fino alle ossa. Acqua dolce che diluisce acqua salata. Pioggia che gli cola sul viso e stempera le sue lacrime. Perché Walter Mazzarri proprio non riesce a sorridere. Anche se la sua Reggina ha vinto. Anche se la sua Reggina ha vinto in casa contro la Roma capolista.
La verità è che Walter Mazzarri non si è mai sentito così solo. Un paradosso per uno che l’isolamento l’ha elevato a sistema, per uno che non si è mai reputato adatto a stare in un gruppo. Perché ad aprirsi si corre il rischio di essere fraintesi. Come si fa a spiegare a chi ti è vicino che il senso di solitudine più feroce che si possa provare è quello di un uomo che lotta disperatamente per elevarsi, per affermarsi, per dimostrare agli altri di essere all’altezza di un obiettivo? Walter Mazzarri cammina verso il tunnel degli spogliatoi mentre quelle voci, quelle 11mila 700 voci che si sono unite insieme in un orgasmo rumoroso e scomposto, si insinuano appena nelle sue orecchie. Gli arrivano così distanti, ovattate, flebili.
C’è un altro pensiero che gli rimbalza contro le pareti del cranio. Un pensiero che si avvolge contro la sua gola e che infiamma i suoi occhi. È il pensiero di suo padre. Si chiamava Alberto. E si è spento una settimana prima, in Toscana. Mentre lui era a Reggio Calabria a dirigere un allenamento. È stato in quel momento che Walter Mazzarri ha capito che il lato odioso delle banalità è che a volte hanno ragione. È in quel momento che ha capito che perdere un padre è come perdere un filtro, una barriera di carne e di ossa, di sangue e di tendini che ti proteggere dal concetto di morte, dalla consapevolezza che, la prossima volta, la campana suonerà per te.
«La vita non è altro che un rasentarsi i solitudini».
Corrado Alvaro, L’uomo è forte.
Walter Mazzarri si presenta davanti alle telecamere di Domenica Stadio e tira un respiro profondo. «Mio padre seguiva sempre le mie partite – dice – dispiace che non abbia potuto vedere anche questa con la Roma. Sì, è un capolavoro. C’è modo e modo di vincere, stavolta abbiamo pienamente legittimato i tre punti con il gioco». Quello che non dice è che Alberto, in estate, lo spediva a lavorare con i muratori. Sveglia presto e su a costruire muri fino al primo pomeriggio. Poi iniziava un altro lavoro. Nel panificio di famiglia. Walter doveva andare a dare il cambio alla madre per farla riposare. Il ragazzo non aveva bisogno di portare soldi a casa, ma doveva imparare il significato pratico di dedizione alla causa, la pronuncia esatta di sacrificio. Anche se nelle giovanili della Fiorentina qualcuno lo aveva già definito il nuovo Antognoni. È durante quelle giornate di interminabili di noia e fatica che Walter si è forgiato. È in quelle estati di lavoro che ha messo a punto il suo personalissimo concetto di orgoglio. Un concetto che in molti hanno provato a minare.
Proprio come è successo a giugno del 2006. Mentre la Nazionale di Marcello Lippi vola in Germania per provare l’assalto al Mondiale, la Nazione è scossa da un altro scandalo sportivo. L’ennesimo. I giornalisti, in maniera impropria, lo ribattezzano Calciopoli. E ridisegna per qualche anno la geografia del calcio tricolore. La Reggina, che Mazzarri aveva guidato fino al quattordicesimo posto solo un anno prima, finisce in tribunale per due procedimenti diversi. Il 30 maggio, infatti, il presidente Foti rilascia un’intervista a La Repubblica. «Nel luglio 2005 – dice – abbiamo colmato gran parte del debito in contanti e 4 milioni ce li ha dati, poi, un Istituto di Credito di Crotone». Niente di strano se non fosse che alla Covisoc è depositata una sua autocertificazione in cui Foti garantisce di aver saldato al 30 giugno, quindi entro i termini, tutti i debiti con l’erario.
In pratica il presidente si è lasciato scappare che la Reggina non era in regola con l’iscrizione alla Serie A. Qualcuno sostiene che ci siano gli estremi per l’illecito amministrativo. Altri, come il Bologna, fanno partire un esposto per ottenere l’ammissione in Serie A. E non finisce qui. Perché sono spuntate fuori delle intercettazioni. E sono piuttosto imbarazzanti. I magistrati hanno ascoltato diverse telefonate. Alcune indirizzate a Moggi. Altre all’ex designatore Paolo Bergamo. Ma è una chiacchierata in particolare a far drizzare le antenne agli inquirenti. È stata effettuata alle 12.56 del 4 dicembre 2004. Secondo i magistrati Foti avrebbe chiesto rassicurazioni a Bergamo sul match contro il Brescia del giorno successivo. «Per domani tutto preparato sì sì. Stai tranquillo, stai tranquillo!» avrebbe risposto il designatore.
Il 26 giugno l’Italia batte l’Australia grazie a un rigore di Francesco Totti. Due giorni dopo il presidente della Reggina viene convocato dagli inquirenti. Dopo essere stato ascoltato, Foti ostenta sicurezza. «Se temo penalizzazione o retrocessioni? No e perché, scusate?» dice ai cronisti che lo aspettano all’uscita della Federcalcio.
Ma mentre la giustizia sportiva va avanti con le indagini, la Reggina deve provare a pianificare la sua stagione. Il 15 luglio gli amaranto si danno appuntamento sui campi bollenti del Centro Sant’Agata. In programma c’è una sgambata prima di partire per la Valle d’Aosta. La speranza è che il ritiro ad alta quota ossigeni i polmoni e tappi le orecchie ai giocatori. Soprattutto a quelli che dovranno arrivare. Dovranno, appunto. Perché con la minaccia di una penalizzazione che pende sulla testa del club fare mercato diventa un esercizio di fantasia. Ciccio Cozza, Franceschini e Paredes hanno già deciso di cambiare aria. Tre pezzi della storia recente della Reggina salutano e cercano gloria altrove. Vengono sostituiti da Salvatore Aronica, difensore di 28 anni acquistato dal Messina, Daniele Amerini, 32 primavere, centrocampista centrale del Modena, e Andrea Campagnolo, 28 anni, ex estremo difensore del Cagliari. Troppo poco, forse, per puntare alla permanenza in Serie A.
La Reggina comincia a preparare la stagione su due campi diversi. In tribunale e in montagna. «Ritengo ingiusto e inaccettabile screditare una società come la Reggina che, come sostenuto dal Commissario Rossi, fa del lavoro e della lealtà da oltre 20 anni la sua bandiera – tuona Lillo Foti – sono sereno perché estraneo a ogni tipo di accusa». Il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti, mira più in alto. «È un processo mediatico senza fine – afferma – chiediamo un’indagine giusta e senza condizionamenti. La Reggina è patrimonio di questa città e la difendiamo con tutte le nostre forze».
All’improvviso Walter Mazzarri viene risucchiato fra le pagine di un romanzo di Corrado Alvaro. Inchiostro nero che racconta un Sud feroce, aspro, spietato. Un Sud dove ci si batte per affermare la propria esistenza, per non morire nel corpo o quanto meno nella mente. Lotta e sofferenza, rabbia e paura e voglia di riscatto. Ma il lieto fine è tutt’altro che scontato.
In attesa dei deferimenti, il 23 luglio la Reggina disputa la sua prima amichevole stagionale. La mattina Mazzarri manda i suoi ragazzi per i boschi. Sono previsti 40′ di ripetute in altura. Nel pomeriggio, invece, l’allenatore prova metterli in campo per l’amichevole contro la Val d’Ayas, terza categoria locale. Le gambe sono pesanti, ma la testa degli amaranto volano. A Brusson, in provincia di Aosta, finisce 11-0 per i calabresi. Con una tripletta segnata da Nick “Piede Caldo” Amoruso.
Quella del 3 agosto è un’altra giornata di pioggia. A Graz, stavolta, la Reggina affronta il Real Madrid di Fabio Capello. Roberto Carlos, Emerson, Beckham, Robinho, van Nistelrooy e Cassano contro Pelizzoli, De Rosa, Lucarelli, Mesto, Modesto, Amoruso e Bianchi. Sembra una gara senza storia. E invece le meringhe faticano molto più del solito. Raul segna, Leon ci va vicino addirittura 3 volte. Alla fine la casa blanca vince 1-0. Ma gli applausi sono tutti per la Reggina.
I sogni di gloria, però, durano appena 5 giorni. L’8 agosto il Procuratore Federale Stefano Palazzi annuncia che Foti e la Reggina sono deferiti per illecito sportivo e slealtà. La squadra, che intanto si è spostata in ritiro a Spoleto, è scossa. Qualcuno ha paura di precipitare in B senza neanche passare dal via. I tifosi temono un circolo poco virtuoso fatto di cessioni, ridimensionamento, oblio. «Questa società non può diventare un capro espiatorio», dice l’avvocato degli amaranto Giuseppe Panuccio.
Walter Mazzarri sa che deve tirare fuori un coniglio dal cilindro se non vuole perdere la squadra. Convoca i giocatori. Li rincuora. Cerca di spiegare a ognuno di loro la situazione. Poi li fa sedere e prepara il suo spettacolo. Dice che, nonostante tutto, lui alla salvezza ci crede. Dice che chi non la pensa come lui è liberissimo di cercarsi un’altra destinazione. Ma chi resta, chi decide di non abbandonare i compagni, deve prepararsi a una lotta estenuante.
Poi Walter Mazzarri si presenta davanti ai giornalisti e inizia a urlare la rabbia che aveva cominciato a gonfiarsi nel suo stomaco. «Voglio augurarmi almeno che ci siano processi giusti, fatti da persone competenti – spiega – Che dovranno verificare oggettivamente quanti possibili errori abbiamo avuto a favore e quanti contro. Non ci si dovrà soffermare solo su una due partite. Nella stagione incriminata abbiamo ricevuto danni quantificabili a causa di errori arbitrali. Abbiamo concluso quel campionato a 44 punti, ma potevamo ottenerne ben 50 e andare in Europa disputando l’Intertoto. Sono pronto ad andare davanti al Presidente della Repubblica per testimoniare la nostra estraneità ai fatti. Lo dico a chiare lettere: siamo innocenti».
«Sono pronto ad andare davanti al Presidente della Repubblica per testimoniare la nostra estraneità ai fatti. Lo dico a chiare lettere: siamo innocenti». Walter Mazzarri, 8 agosto 2006.
Walter Mazzarri è un martello, ma qualche chiodo viene comunque piantato storto. Il 10 agosto la Reggina gioca un’altra amichevole. Stavolta nell’altra metà campo non c’è il Real Madrid, ma la Cisco Roma. Una squadra che gioca in C2. Una squadra capitanata da Paolo Di Canio, 38 anni e ancora tanta bile da rovesciare contro il presidente della Lazio Lotito. Sembra una partita a senso unico. E in qualche modo lo è. Perché la Cisco si impone 1-2 grazie ai gol di Di Canio e Mazzarani. Al fischio finale Mazzarri prova a spiegare il perché di quel risultato, il motivo per cui quelle gambe sono così imballate. Ma nessuno ha troppa voglia di ascoltarlo. Gli domandano se ha paura. Gli chiedono se la Reggina è davvero estranea ai fatti.
Le notizie che circolano sono tutt’altro che rassicuranti. L’accusa chiede la retrocessione con una penalizzazione. La difesa punta ad affermare la completa estraneità ai fatti, vuole dimostrare che le telefonate con Bergamo erano soltanto istituzionali. In pratica, tenta di derubricare le accuse da illecito sportivo a slealtà. Intanto a Reggio Calabria si vive uno psicodramma. Se la squadra non resterà in A, magari con una forte penalizzazione, i tifosi sono pronti bloccare la stazione cittadina e i traghetti di Villa San Giovanni. Qualcuno addirittura rievoca i “moti di Reggio”, la sommossa datata 1970 e provocata dalla scelta di Catanzaro come capoluogo di Regione. Altri, invece, si soffermano su un altro dettaglio: la retrocessione porterebbe immediatamente all’addio di Pelizzoli, Amoruso, Lucarelli e Bianchi. Ossia i giocatori con lo stipendio più alto. E, incidentalmente, anche i più bravi.
La sentenza del Caf arriva il 17 agosto. E non è morbida. Non c’è stato illecito sportivo, solo slealtà. Significa che la Reggina resta in A, ma con una penalizzazione di 15 punti. Lillo Foti se ne sta chiuso nei suoi pensieri tutta la giornata. Poi, verso sera, grida tutto il suo disappunto. «Prendo atto i questa decisione della Caf – dice – sono profondamente deluso. La A è una conquista sul campo. I miei legali hanno smontato tutte le ipotesi del procuratore Palazzi. Voglio prendermi qualche ora di riflessione, poi deciderò quali saranno le prossime mosse». Walter Mazzarri è più pessimista. «Come si fa a essere contenti? Per una realtà come la Reggina la salvezza è come uno scudetto: con 15 punti in meno è quasi impossibile. In un certo senso è come non farci partecipare alla A».
Due giorni dopo si gioca la prima partita ufficiale della stagione. Nel primo turno di Coppa Italia la Reggina incontra la Pro Vasto. E per saltare l’ostacolo la squadra di Mazzarri ha bisogno dei tempi supplementari. Dopo aver battuto anche la Cremonese, il 27 agosto gli amaranto affrontano il Crotone nel terzo turno della Coppa nazionale. Ma mentre i giocatori sono in marcia per raggiungere lo stadio, vengono raggiunti da una notizia raggelante: la Corte Federale ha confermato i 15 punti di penalizzazione. Foti, che è stato inibito per 30 mesi, non ha nessuna voglia di darsi per vinto. Continuerà a ricorrere fino a quando la faccenda non sarà risolta.
E il 3 settembre parte al contrattacco: «Purtroppo devo prenderne atto – dice – la Reggina e il suo presidente non hanno alcun peso specifico. Sì, abbiamo subito una vera e propria aggressione. Paghiamo per 11 telefonate il cui costo complessivo non supera i 2 euro».
Una settimana più tardi finalmente si comincia a giocare. La prima avversaria è il Palermo di Guidolin. Si gioca a La Favorita. Nei primi 9′ la Reggina ha due limpide palle gol. Poi negli 8′ successivi subisce 3 reti (Bresciano, in rovesciata, Biava e Corini). Rolando Bianchi accorcia con una doppietta, Amauri allunga di nuovo con un gol e Bianchi fissa il finale sul 4-3. Tanti complimenti, zero punti in tasca. L’unico che ha voglia di sorridere è proprio Bianchi. Il 2 settembre del 2005, giocando contro la Scozia con l’Under 21, si era rotto il crociato del ginocchio destro. Ora, 12 mesi più tardi, nella sola gara contro il Palermo ha segnato lo stesso numero di gol che aveva realizzato in A in carriera.
Per una settimana è il capocannoniere del torneo, così la Gazzetta decide di scavare a fondo nelle abitudini un un ragazzo di Bergamo trapiantato a Reggio Calabria. «Se i capelli lunghi mi aiutano con le donne? Non ho notato la differenza. Non possiedo auto di lusso. Ho una Smart, da 3 anni: la terrò fino a quando non crolla». E ancora: «In tv ora seguo La Pupa e il Secchione: mi fa morire dalle risate. Quasi un reality fra geni e ragazze bellissime».
Un programma trash che evidentemente fa bene al giocatore. Nella seconda giornata, infatti, la Reggina ospita il Cagliari. Al 90′ è 1-1, perché al vantaggio iniziale di Leon risponde Suazo su calcio di rigore. Solo che il penalty è inesistente. Il guardalinee Angrisani segnala al signor Girardi un finto fallo di Giosa su Mauro Esposito. Sono passati solo pochi minuti, ma la partita, anzi, la stagione, sembra ormai compromessa. Sul campo del Granillo ballano i fantasmi, nella testa dei giocatori amaranto rimbomba la voce dei demoni. Solo che poi Bianchi la butta dentro in pieno recupero. Al 93′ gli amaranto si ritrovano improvvisamente a -12. Tre piccoli passi in avanti verso un risultato che sembra impossibile. «I tifosi di Reggio sono depressi e io vorrei regalare loro nuovi sorrisi e soprattutto la salvezza», dice Rolando a fine partita. Un sorriso che neanche l’espulsione di Walter Mazzarri riesce a rovinare. «È stato un equivoco – prova a spiegare il mister a fine partita – Girardi pensava che urlassi contro di lui».
Non c’è neanche il tempo di rilassare i nervi che si torna in campo. Il mercoledì successo, 19 settembre, la Reggina oltrepassa lo stretto. Si va al San Filippo di Messina. E il derby si preannuncia infuocato. Qualche mese prima i tifosi calabresi avevano issato una gigantesca B per festeggiare la loro vittoria che condannava alla retrocessione i siciliani. Ora, però, i ruoli sembrano essersi ribaltati. Grazie alla vittoria sull’Udinese e al pareggio con l’Ascoli, i giallorossi sono addirittura sesti in classifica. E non hanno nessuna intenzione di rallentare. I calabresi cercano conferme, ma alla fine trovano solo dubbi. Riganò segna un gol per tempo. Prima sfrutta un liscio di Lucarelli e trafigge Pelizzoli. Poi si libera di due avversari e, da fuori area, piazza il pallone sul secondo palo. Mazzarri osserva dalla tribuna e si rode il fegato, guarda la sua squadra e non riesce a trovare un granello di razionalità in tutto quello che sta succedendo.
Non va meglio la domenica successiva, quando al Granillo arriva il Torino di Zaccheroni. Una squadra capace di raccogliere appena un punto in 3 partite, una squadra che sta per essere risucchiata nel gorgo nero di una crisi. Modesto sblocca il match, Comotto pareggia e regala una bombola d’ossigeno a Zac e una ventata di CO2 a Mazzarri. 1-1 finisce anche la gara successiva, in casa dell’Atalanta. La situazione diventa complicata. Senza penalizzazione la Reggina sarebbe quattordicesima. La realtà, invece, racconta di un penultimo posto con un -10 ancora da recuperare. E con la sosta di mezzo, si rischia il cortocircuito.
Il 16 ottobre ecco che a Reggio Calabria arriva la Roma di Francesco Totti. I giallorossi sono primi in classifica, hanno tre freschi campioni del Mondo e vogliono riprendersi quello scudetto che manca ormai da 5 anni. Tutti si aspettano una magia del numero 10 capitolino, ma a rovesciare il tavolo è Leon, fantasista proveniente dall’Honduras che in Italia non aveva mai convinto. Neanche in Serie B. Neanche in C1. La Reggina lo voleva dare via, poi Mazzarri ha deciso di tenerlo. L’honduregno non si ferma per tutta la partita. Si abbassa a prendere palla, cuce il gioco per le punte, torna ad aiutare in copertura, svaria per tutto il campo. A Rosi e Cassetti viene il mal di testa nel tentativo di seguirlo. Leon ispira, Amoruso segna. La Reggina vince 1-0 e comincia a vedere lo sfarfallio di una luce lontana.
Una luce che si spegne al Franchi di Firenze. I calabresi si presentano in Toscana con il motore su di giri. Anche troppo. Perché il successo contro la banda Spalletti ha fatto dimenticare alla Regina il succo della partita contro la Viola. Non può essere un match come gli altri. Perché ad affrontarsi sono due squadre fortemente penalizzate da Calciopoli. E se la Reggina è partita da -15, la Fiorentina si è vista infliggere addirittura un -18. Una sentenza da brividi. Una punizione che sembra calpestare ogni speranza. La sfida non dura neanche un tempo. Al 43′ la Fiorentina ha già segnato due gol. Il primo con Mutu, il secondo con Santana. L’argentino scaraventa il pallone in porta e poi corre verso la panchina ad abbracciare Jorgensen. Il motivo? «Prima della partita lui mi ha preparato il caffè, ci ha messo lo zucchero e ha voluto che bevessi quello e solo quello». Nella ripresa c’è spazio addirittura per la prima rete in carriera di Manuele Blasi. La prima dopo un vuoto lungo 138 partite, la rete che vale l’aggancio della Fiorentina alla Reggina.
Mazzarri impreca e schiuma rabbia. «È stata la peggior partita della mia gestione. È finita 3-0 ed è andata bene così. Ho fatto tre cambi, ma se il regolamento me lo avesse permesso ne avrei cambiati dieci».
Ormai è chiaro che Walter Mazzarri allena due squadre diverse. In casa la Reggina ha ottenuto 7 punti in 3 partite. In trasferta appena 1 sui 12 disponibili. La salvezza si costruisce a Reggio Calabria, dunque. Una legge ferrea che anche il Parma impara sulla sua pelle. Mentre il Granillo grida “Serie A! Serie A!”, gli amaranto si impongono 3-1. Doppietta di Amoruso e gol di Bianchi. Tutto regolare, tutto come al solito. E pensare che in estate la Reggina aveva deciso di mandare via Nick Piedecaldo. «Mi avevano detto: “Puntiamo solo su Bianchi”. Giorni molto tristi – racconta alla Gazzetta dello Sport – Avevo avuto offerte da Cagliari, Chievo, Bologna, una superproposta del Rimini. Poi ci siamo chiariti e ho firmato un biennale. A Reggio mia moglie vive bene, qui abbiamo comprato casa, il sole ci riscalda. Sul mio comodino c’ è sempre la foto di mio nonno Giacomo, con le sue parole scritte sul retro prima che morisse».
La Reggina è ultima in classifica. Ma è ad “appena” 8 punti dalla salvezza. Senza penalizzazione sarebbe addirittura ottava, pronta a giocarsi l’accesso a una coppa continentale. Mazzarri ha vietato ai suoi giocatori di leggere i giornali fino a quando la squadra non sarà arrivata a quota zero. Dopo l’abisso del -15, la Reggina riaffiora sulla linea del galleggiamento nel pomeriggio del 12 novembre 2006. Dopo un pareggio contro la Lazio e una sconfitta in casa col Catania, alla giornata numero 11 i calabresi espugnano l’Artemio Franchi di Siena grazie a un rigore di Rolando Bianchi. La penalizzazione è stata completamente riassorbita. Ora comincia la seconda fase del campionato amaranto. E non sono permessi errori.
La prima partita non è delle più fortunate. La Reggina si presenta a San Siro senza 5 titolari. Eppure riesce a dominare. Riesce a dominare anche se a vincere, alla fine, è l’Inter. Mazzarri non ci sta e viene espulso. Ancora una volta. «Ho l’impressione di essere bersagliato dagli arbitri. Forse a loro dà fastidio chi parla e chi segnala certe situazioni, forse conviene stare zitti, ma io non ci riesco – dice – L’espulsione? Ho addosso tanta rabbia in questo momento. C’era un fallo netto a centrocampo per noi, io ero già in disaccordo con gli arbitri e mi sono lamentato con i miei collaboratori dicendo “ho capito che aria tira”. Si vede che il quarto uomo mi marcava da vicino, e lui o il guardalinee hanno riferito tutto all’arbitro che mi ha espulso».
Il 4 dicembre la Reggina affronta l’Udinese. Rolando Bianchi fa volare i calabresi che, in dieci, si fanno però riprendere da un gol di Vincenzo Iaquinta. Solo che l’attaccante bianconero sembra in fuorigioco. È una questione di millimetri, ma tanto basta a caricare a pallettoni gli amaranto. In serata il club pubblica un comunicato ufficiale. Ed è durissimo. «La Reggina – si legge – assiste sdegnata ai continui episodi che con scientifica costanza ogni domenica sono posti in essere in suo danno. L’odierna direzione arbitrale, ancora una volta, ha vanificato il lavoro e la fatica dei tecnici, dei calciatori e della società mortificando le aspettative dei tifosi e penalizzando un’ intera città. La Reggina eleva la sua ferma protesta nei confronti di tali atteggiamenti, stanca di subire continuamente ingiustizie e danni».








