Perché i ragazzi di oggi sono già pronti
Pochi giorni fa, Erling Haaland, 19enne attaccante norvegese del Salisburgo, si è presentato al calcio europeo realizzando una tripletta al suo esordio in Champions League. Il modo migliore per far parlare di sé anche fuori dall’Austria, lì dove la sua straordinaria confidenza con il gol (ne ha già segnati 17 in stagione, in 9 partite) ha già prodotto titoloni e dibattiti sulla possibile nascita di una nuova stella. Mentre il gigante scandinavo strapazzava il Genk, a Dortmund, il 16enne Ansu Fati, dopo aver già segnato due volte in Liga, figurava tra gli undici titolari con cui il Barcellona si apprestava ad affrontare il Borussia, pronto per il suo precocissimo debutto nella massima competizione europea. Maurizio Sarri, nel frattempo, era ricurvo sul suo blocco di appunti per studiare un modo efficace – sempre che ne esista uno – per spegnere la fantasia di João Félix, il portoghese che a soli 19 anni è già il fulcro creativo di un top team come l’Atletico Madrid.
Il calcio europeo ha sempre più il volto puerile delle nuove generazioni. Un profluvio di giovanissimi si sta affacciando sulla scena con prepotenza, forse come mai era accaduto in passato. I nomi dei vari Haaland, Ansu Fati, ma anche di Daniel James, Mason Greenwood e moltissimi altri rimbalzano da una parte all’altra in un flipper alimentato anche dalla condivisione globale via social media, terreno fertile per far crescere l’hype dei talenti in erba che si rendono subito protagonisti nel calcio dei grandi. E così ci troviamo di fronte a continue scoperte. Di settimana in settimana facciamo conoscenza con nuove possibili promesse del calcio del futuro, ma anche del presente.
Nel virtuoso processo evolutivo abbracciato dal calcio, infatti, il talento sembra occupare finalmente un ruolo centrale e, soprattutto, sembra non avere più bisogno di troppo tempo e troppe verifiche affinché gli venga concesso di mettersi in mostra. La fiducia che un giovane calciatore doveva guadagnarsi con fatica, passando attraverso una serie infinita di esami, consigli, giudizi, oggi viene concessa con più leggerezza. Grazie a quest’apertura, il fuoco di questa nuova gioventù brucia rapidamente le tappe di un percorso di crescita che si dispiega su tempi molto più stretti rispetto al passato.
È evidente che le possibilità per i giovani di ritagliarsi un ruolo di protagonisti siano maggiori in contesti che attraversano difficoltà di varia natura: come il Chelsea, costretto a sottostare al blocco del mercato e meno preoccupato di affrontare la Premier League con un attacco in cui figurano ragazzi come Tammy Abraham e Mason Mount, rispettivamente di 21 e 20 anni. O in contesti dove talento e coraggio sono fondamenta ideologiche, come l’Ajax, ambiente che ha permesso a De Jong e De Ligt di giocare con la sicurezza di campioni navigati. Ma non solo, perché il roster del Barcellona è profondo, eppure la scelta è ricaduta su Ansu Fati, sebbene abbia guadagnato spazio per via degli infortuni di Messi e Dembélé.
Per quanto questo cambio di visione sia prezioso, non è l’aspetto che sorprende e incuriosisce di più attorno al discorso sulle nuove generazioni di calciatori. Ciò che davvero impressiona di questa nuova classe di giovani, e su cui vale la pena andare a fondo per coglierne le ragioni, è il modo in cui approccia al calcio che conta; è l’impatto, immediato e dirompente, che su di esso riesce ad avere. Perché se da una parte è indubbio che club e tecnici abbiano deciso di lanciare i giovani con meno riserve e più coraggio, dall’altra la fiducia concessa è anche il risultato della loro capacità di “reggere il gioco” e, addirittura, di incidere con costanza sulle partite, senza farsi schiacciare dal salto di categoria.
È un’attitudine chiarissima: sono sempre di più i giocatori che, in barba all’anagrafe, entrano in campo e impongono le loro qualità in un contesto che, in teoria, almeno all’inizio, dovrebbe presentargli delle difficoltà o quanto meno metterli in soggezione. Superano ogni barriera d’esperienza, governano l’emozione di giocare di fronte a decine di migliaia di persone, eludono le insicurezze di chi non si è mai confrontato con certi avversari e scendono in campo con il solo scopo di mostrare le loro doti e “il loro sapere” calcistico, nonostante l’età.
Grattando la crosta della meraviglia e provando ad addentrarsi in un’analisi più approfondita, i motivi di questo impatto fulmineo dei nuovi giovani sembrano soprattutto tre. Il primo ha a che fare con il progresso. Nell’ultimo lustro il calcio ha subìto mutamenti repentini e radicali, evidenti anche per lo spettatore più distratto. Questa evoluzione, oltre alle idee visionarie di tecnici pionieri come Guardiola, Klopp e altri, è dovuta al profondo cambiamento nello studio del gioco reso possibile dai nuovi strumenti a disposizione, grazie ai quali gli staff tecnici possono scandagliare in maniera dettagliata ogni aspetto tattico, tecnico, individuale, collettivo. L’avvento e l’utilizzo di questi strumenti ha allargato enormemente le competenze dei tecnici e ha portato a uno stravolgimento dei metodi di allenamento, dalla cima della piramide fino ai settori giovanili.




