Il romanzo anarchico di Giampaolo in 5 partite

Ascoli, Cagliari, Siena, Empoli e Sampdoria: cinque tappe in cinque match che hanno scritto altrettanti capitoli fondamentali di un libro che ora aspetta un lieto fine

“Se il romanzo è la più anarchica delle forme letterarie” non sappiamo come George Orwell avrebbe definito il più anarchico dei romanzi, ma un pensierino su Marco Giampaolo, protagonista di una metanarrazione libera da ordine e regole, l’avrebbe fatto eccome. Questa è la sua storia, o meglio, è il romanzo della sua vita in cinque partite. Il calcio d’inizio della prossima l’ha battuto stringendo la mano a Paolo Maldini, nuovo direttore tecnico del Milan. A modo suo, a casa sua, anzi in barca a Rodi Garganico, su un catamarano prima di salpare per la Croazia, prima di rimangiarsi, di gusto, queste parole: «Non potrei mai allenare in una città senza mare o con la nebbia». Treviso, Brescia, Cremona ed Empoli chiedono la bandiera blu ad honorem. Ma d’altronde, si sa: “Uomini di mare / gente un po’ speciale” canta Franco Califano, ministro con portafoglio nel suo parlamento musicale.

Ascoli-Roma 3-2 (12 marzo 2006)
Il gol più facile della carriera di Fabio Quagliarella (non è uno scherzo) spalanca il sipario sui ventuno minuti più incredibili della stagione dell’Ascoli: tre gol alla Roma (finirà 3-2), chiusa la striscia di tredici risultati utili consecutivi di Spalletti, comprese le undici vittorie (record) di fila. Giampaolo senza abilitazione, poi squalificato due mesi, è la mente, Massimo Silva l’uomo che favorisce faccia e documenti. Il ‘Picchio’ vola fino a due punti dalla zona Uefa, il suo nome accompagna il caffè: “Hai visto quel Giampaolo? Un fenomeno”. Rivoluzionario, grazie. Di sinistra, e interista, per tradizione di famiglia.

Cagliari-Udinese 0-1 (13 gennaio 2008) 
La partita che non c’è. A parte il fatto che la decide, tombola, ancora Quagliarella. Sulla panchina sarda c’è Davide Ballardini, dopo il gran rifiuto di Giamapolo, mister C’è chi dice no. «Non torno, l’orgoglio e la dignità non hanno prezzo» nemmeno se sull’etichetta del triennale firmato con il presidente Cellino ci sono circa 800 mila euro. Un uomo vero che non può farcela ad essere quello che non è. Esonerato per “motivi politici”, poi richiamato, nella stagione precedente, salvando la squadra con una giornata d’anticipo, Giampaolo non ha retto il bis: «Comportamenti e contratti assurdi per i miei collaboratori». Addio. Stavolta, con patentino e tesi a Coverciano in tasca: “La settimana tipo dell’allenatore”.

Siena-Juventus 0-3 (24 maggio 2009)
La domenica è la terra di nessuno. Comandano le percezioni, le sensazioni epidermiche, però comanda anche la razionalità, la lucidità, la consapevolezza di aver fatto in modo corretto tutto ciò che era nelle nostre possibilità, tutto ciò di cui la squadra aveva bisogno”. Giampaolo tiene fede alla sua tesi come un capitano di nave al suo diario di bordo. E quel giorno, nonostante un risultato da burrasca, accarezza l’essere andato oltre ogni possibilità. La barca Siena è già ormeggiata alla salvezza da settimane: record di punti e vittorie in A (44 e 12, come Beretta), merito di una fase di non possesso da sballo. Se il suo timbro, col passare degli anni, ha marchiato costruzione, possesso palla, identità offensiva, in Toscana scrive il manifesto della propria fase difensiva: a zona, perfetta, concreta, linee strette, marchio del 4-3-1-2 riproposto più avanti con Empoli e Sampdoria. Quella domenica è anche la prima terra calpestata da Ciro Ferrara come allenatore della Juventus. «Per una notte dormii, poco in realtà, con la testa sulla panchina bianconera. In estate feci due colloqui con Secco, Castagnini e Blanc: “al 99% sei dentro”» racconta Giampaolo che alla domanda: «Se la sente di allenare la Juve?» risponde «Lei si sente di sostenermi nei momenti di difficoltà?». Mica tanto. Infatti Ferrara, poi confermato, viene sostenuto appena 21 giornate prima dell’esonero.

Non è abbastanza chiaro se la vita di Giampaolo sia un film o se un film non riuscerebbe a spiegare la vita di Giampaolo. Marzullo perdonaci. Ma prima delle ultime due tappe, dobbiamo accendere le luci in sala. Anche se l’intervallo per il maestro di Giulianova durerà più di un fedelissimo sigaro. «L’allenatore è un uomo solo e quindi li fumo nei momenti di contemplazione» dice in svariate interviste. E chissà quanti ne avrà bruciati nei 1119 giorni tra l’agosto 2010 e l’ottobre 2013 in cui la sua carriera ha fatto un triplo salto carpiato all’indietro. «In quanto uomo di mare sono fatalista. Ho capito che ciò che è certo oggi non lo è domani». Mentre lascia un po’ della sua eredità in questa intervista a Carlos Passerini del Corriere della Sera, non può non pensare a quelle 40 partite in tre anni e quei 966 giorni senza vittorie. Dopo lo slalom fino alla panchina della Juventus, inforca tre volte: Catania, Cesena e Brescia dove non scende a patti con gli ultras (che costringono Fabio Gallo, ex-Atalanta, a rinunciare all’incarico di vice), non china la testa di fronte a una società che non difende le sue scelte davanti ai tifosi e non mischia la sua dignità «in un calcio inquinato».

La cultura e la filosofia del lavoro prima di tutto. Lezione di vita del mentore, il ‘professor’ Giuliano Sonzogni, suo allenatore a Siracusa ed Andria. Nonostante il tempo a disposizione per godere dell’amato brodetto alla giuliese non sia un dettaglio trascurabile, Giampaolo è in trappola, anzi in prigione. Nel 2014 l’ora d’aria si chiama Cremonese, Serie C. Conta il progetto, non la serie. Salvezza, poi Empoli: «L’uomo giusto per sostituirmi? Marco Giampaolo». Sarri parte verso Napoli e lascia questo telegramma al presidente Corsi. «Come se mi avessero liberato da un ergastolo, magari con la condizionale» spiega alla presentazione. Giù le luci. Secondo tempo.

Empoli-Napoli 2-2 (13 settembre 2015)
Terza giornata, primo dei 46 punti finali, quattro in più di Sarri. Stessa casa, arredamento diverso. Giampaolo trova il salotto senza Sepe, Valdifiori, Hysaj, Rugani, Verdi, Vecino e Tavano, quindi sarebbe destabilizzante non attribuirgli i meriti di aver arredato la stessa stanza, luminosa ma semi-vuota. Possesso, ricerca della posizione, equilibrio, la magnifica galassia del rombo di centrocampo, il coraggio delle mezzali (Zielinski su tutti), la riscoperta del trequartista (Saponara, vedi primo gol) e la qualità del playmaker (Paredes). Giampaolo is back: «Ho firmato per un anno perché tra dieci mesi voglio che siano loro ad offirmi un rinnovo». Uno che pensa così scrive le regole del gioco, non le subisce. Il Milan se ne accorge già nell’estate 2016, Galliani telefona, poi firma con Montella. L’uomo col sigaro sente profumo di mare. C’è la Sampdoria.

Sampdoria-Juventus 3-2 (19 novembre 2017)
«La partita perfetta» ammette Giampaolo. Vuoi per il tre gol in ventisette minuti (Zapata, Torreira, Ferrari tra il 52’ e il 79’, finirà poi 3-2), vuoi per aver scippato il cappotto alla Signora degli scudetti, vuoi, soprattutto, per essere riuscito a portare la sua idea in un universo superiore. Quello dove, di solito, rimane fuori dalla navicella, rimbalzata dall’ossessione (e dalla paura) per il risultato. In tre anni cadono ai piedi di Giampaolo anche Napoli, Inter, Milan, Roma, Atalanta e vince quattro derby su sei (con due pareggi), che da queste parti valgono scorte a vita di trofie al pesto. Il rombo della Samp ridisegna l’occupazione delle distanze in campo, il lavoro su spazi e palla travalica quello sugli avversari, la qualità prima di tutto. La fase difensiva, quella sì da perfezionare: linea a quattro spesso scoperta dai centrocampisti, lavoro sulle ampiezze dei terzini, alto rischio d’instabilità.

Tra un brodetto e qualche pagina del commissario Ricciardi di De Giovanni, in mezzo mare, sul suo catamarano, Giampaolo scioglierà le personali riserve sulla nebbia, cercando il modo di portare la sua idea «ancora più in alto dell’idea stessa». Funzionerà al Milan? La risposta nel prossimo capitolo del romanzo più anarchico del calcio contemporaneo.

 

 

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