Lo spazio interno non viene citato nel regolamento ufficiale, è soltanto una distanza tra rete e linea non altro; viene considerato porta quando in realtà è oltre la porta, oltre la linea, oltre il gioco stesso
Sul campo di calcio c’è una zona mistica, uno spazio oscuro, un luogo irrisolto dove i portieri vanno a finire quando la palla li supera e dove capita di vedere anche calciatori che vi entrano per raccoglierla e riportarla a centrocampo in fretta quando stanno perdendo, spesso in questo territorio inesplorato ci si azzuffa per trattenere il pallone che non si vuole lasciare all’avversario che prova a prenderlo dopo il gol della speranza; si litiga, ci si spintona e capita che qualcuno finisca impigliato nella rete.
Questa zona è franca, è una no man’s land calcistica, non appartiene al portiere o alla squadra, per quanto chiusa tra la linea della porta e la rete. Se l’avversario si trova in questa enclave è come non esistesse, si trasforma in ghost, uno che sta nel lato buio. Contro la Serbia, in un incontro valido per i Mondiali, il pallone calciato da Cristiano Ronaldo ha superato la linea in modo chiaro, il difensore l’ha preso dopo ma l’arbitro non se n’è accorto e ha ammonito il fuoriclasse portoghese per proteste; quella zona demarca il vero dal falso, il bene dal male e non trova ancora requie.
Un nome adatto, seguendo il costume della terminologia inglese, è swamp, palude, perché il piede, la mano, il pallone vanno a finire in un luogo colloso dove si sprofonda; la palude è acqua che stagna, bacino poco profondo, fango dove si scende e confonde le tracce. Tra i gol swamp ci sono quelli di Hurst, nella famosa finale mondiale 1966 contro la Germania, che consegnò la vittoria agli inglesi; tanti anni dopo, nel 2010, ancora mondiale, ancora Germania – Inghilterra, tiro di Lampard, evidente gol che però l’arbitro non vede e diventa swamp. In Italia il più famoso è di Muntari del Milan contro la Juventus, nel 2012, Buffon spinge la palla fuori quando è entrata in maniera clamorosa ma l’arbitro non convalida.
“Nelle gare ufficiali, dietro alle porte, devono essere fissate, ai pali, alla traversa e al terreno di gioco, reti di canapa, juta, nylon o altro materiale idoneo, opportunamente collocate in modo da non disturbare il portiere. Le reti devono essere applicate in modo che siano distanti, nella parte superiore, almeno 50 cm dalla traversa e, nella parte inferiore, almeno 1,50 m dalla linea di porta”
Lo spazio interno non viene citato nel regolamento ufficiale, è soltanto una distanza tra rete e linea non altro; viene considerato porta quando in realtà è oltre la porta, oltre la linea, oltre il gioco stesso perché zona inattiva che si rivela sul campo soltanto nei dubbi dentro – fuori del pallone che oggi la tecnologia distrugge con spietata oggettività. Solo nel momento in cui supera la linea ci si accorge che esiste qualcos’altro, altrimenti nemmeno viene presa in considerazione la silenziosa swamp. Si pensi al calcio di rigore, il portiere deve rimanere sulla linea di porta, all’interno dei pali, facendo fronte a chi esegue il tiro fino a quando il pallone è calciato, lui può muoversi o compiere gesti per confondere o distrarre il calciatore avversario rimanendo all’interno dei pali e sulla linea di porta. Ancora una volta swamp resta fuori dalle regole – è l’ineffabile, l’invisibile, l’area eslege del calcio. Oltre la porta esiste la rete, non altro.
“Le porte sono collocate al centro di ciascuna Iinea di porta. Consistono di due pali verticali infissi ad uguale distanza dalle bandierine d’angolo e congiunti alla sommità da una sbarra trasversale. La distanza che separa i due pali è di m. 7,32 ed il bordo inferiore della sbarra trasversale è situato a m. 2,44 dal suolo. I due pali devono avere identica larghezza e spessore, non superiori a cm. 12. La linea di porta deve avere la stessa larghezza dei pali e della sbarra trasversale. Delle reti sono fissate ai pali, alla sbarra trasversale ed al suolo dietro le porte a condizione che siano adeguatamente sostenute in modo da non disturbare il portiere”.
In italiano, quando il pallone supera la linea, si dice rete anche se la rete non la tocca, la zona swamp non è considerata: o è di legno o di nylon, è uno iato che li divide; nel mondo, comunque, prevale l’inglese goal, ossia traguardo, obiettivo raggiunto, termine se vogliamo militare di conquista realizzata dopo lo stadio d’assedio.
Vogliamo vedere i fiori. Qui la sete ci sovrasta.
Sofferenti, in attesa, eccoci davanti alla porta.
Se occorre l’abbatteremo coi nostri colpi.
Non sono versi di un bellicoso poeta ma di Simone Weil, filosofa e mistica tra le più grandi del Novecento, e la porta è un luogo di attraversamento, un valico fatto non solo di traversa e di pali ma anche delle mani del portiere (e quando serve anche dei piedi, come accadeva a Garella e accade specie a quelli tedeschi) che si difendono in ogni modo dalla sofferenza del gol subito. C’è una linea di confine tra la partita e il senso della partita anche se swamp resta al margine, è la botola dentro cui si nascondono gli incubi e i sogni delle squadre e dei tifosi. Quando il pallone agita la rete pare afflosciarsi subito dopo, appagato, quando esce fuori dalla swamp per essere messo al centro del campo è invece una spada tirata dal corpo. Dopo il gol capisci che il pallone è caduto in area libera nel momento chiunque si può avvicinare per prenderlo, avversario incluso, con le mani. Forse un giorno, trascinati dall’euforia della moderna eugenetica morale, inventeranno la regola per cui spetterà soltanto al portiere rimettere la palla in gioco, come si raccoglie un ferito da terra mentre la battaglia continua; a farlo non potranno più essere gli altri, per non essere accusati di comportamento antisportivo. Intanto, forse, swamp resta un fosso dove andare a nascondersi come quando si era bambini o è una scatola magica o una parete sulla quale proiettare l’Ombra, quella che rende scuri i nostri giorni.