Lettera mai scritta a Romelu Lukaku

Ciao Romelu,

ti scriviamo a nome della tifoseria nerazzurra. Fisicamente, chi scrive, è abbonato nel secondo anello verde, quella che un tempo si chiamava “curva”. Ma non ci piace chiamarla così, perché poi è diventata Curva, con la c maiuscola, cioè un’organizzazione di tifosi che escludeva gli altri tifosi della stessa squadra, come se non fossero abbastanza tifosi. Non ci chiamiamo più così perché l’esclusione, a noi, non piace: preferiamo l’inclusione. La Curva non esiste più: al Meazza, quando gioca l’Inter, esiste solo il pubblico nerazzurro, una tifoseria unita a prescindere dal seggiolino che ogni suo componente occupa. E sì, siamo noi, Romelu, i ragazzi che ti hanno dato il benvenuto a Milano: quelli presenti all’aeroporto, sotto la sede, ma anche tutti i tifosi nerazzurri che, per i più svariati motivi, non potevano essere presenti fisicamente al tuo arrivo, ma lo erano virtualmente. Tutti coloro che, vedendoti arrivare con il sorriso stampato in volto, così felice e fiero di essere un nuovo giocatore dell’Inter, hanno sorriso a loro volta.

E dicevamo, Romelu, che ci dispiace molto che tu abbia dovuto sopportare l’episodio di razzismo di Cagliari. Perché sì, quello che è successo è razzismo. Razzismo, e basta. Vorremmo che tu capissi che in Italia il razzismo è un problema reale, concreto e insistente. Non esiste solo nel nostro Paese, certo, ma non ci piace pensare agli altri, fare paragoni: non è questa la sede opportuna.

Possiamo solo immaginare come tu ti sia sentito: alla prima partita in trasferta nel Paese in cui sei arrivato da poco, che hai scelto per vivere nei prossimi anni, e che desideravi da tempo, ti sei dovuto scontrare con una realtà oscura, spiacevole, fastidiosa. Possiamo solo immaginare il vuoto dentro di te, o forse non vogliamo nemmeno immaginarlo: ci vergogneremmo, ancor di più rispetto a quanto già ci vergogniamo ora.

Perché in Italia, purtroppo, alcune persone ancora oggi vanno allo stadio per esprimere il loro sentimento razzista. Di questo, e di nient’altro, si tratta: a queste persone non interessa “aiutare la propria squadra” a vincere la partita, e nemmeno “cercare di rendere nervosi gli avversari per farli sbagliare”, anche se non è affatto un comportamento sportivo. A queste persone interessa solo sfogare il loro razzismo, e nello stadio trovano un terreno fertile per farlo.

Noi siamo una tifoseria diversa. Abbiamo deciso di essere diversi per lanciare un segnale: la società per cui tifiamo si chiama Internazionale, e chi l’ha fondata, più di cento anni fa, ha suggerito che “siamo fratelli del mondo”. Erano più saggi di noi, quegli uomini: ci siamo resi conto che avremmo dovuto ascoltarli tanto tempo fa. Non saremmo arrivati al punto in cui siamo oggi, non vivremmo in un Paese così razzista. Abbiamo usato, in passato, quando ancora ci chiamavamo e ci chiamavano “Curva”, questi beceri ululati razzisti, pensando che fossero normali, una cifra stilista dei cosiddetti “ultras”, un’altra parola che non vogliamo usare più. Pensavamo che fosse un modo per indebolire i giocatori avversari e aiutare i nostri, anche se molti di questi ultimi erano di colore a loro volta: lo abbiamo fatto in passato, ce ne scusiamo e vergogniamo, e non lo rifaremo più in futuro.

Non siamo razzisti. Lo erano quelli prima di noi, ma ce ne siamo allontanati. Sono razziste quelle persone di Cagliari, hai ragione, Romelu.

Devi capire che in Italia esistono i razzisti, quindi esistono anche negli stadi. Questo atteggiamento è ben più grave del tifare contro gli avversari, che comunque è un altro problema da risolvere. Ci siamo abituati male, e cambiare non è facile: ci vuole tempo e impegno. E grazie a giocatori come te, che ci aiutano a capire quanto siamo ignoranti, possiamo farcela.

Ti preghiamo, Romelu, di vivere il razzismo di queste persone come lo stai vivendo ora: con un sentimento di ingiustizia e incredulità. Non ascoltare chi ti dice che farti “uh uh uh”, che non è un “buu” ma il richiamo al verso di una scimmia, è un segno di rispetto nei tuoi confronti, perché siccome sei forte e fai tanti gol sei anche temuto dai tifosi rivali. È una stronzata, oltre che un insulto alla tua intelligenza.

Il razzismo è l’episodio in sé, e anche chi prova a giustificarlo. È tutto questo, ma non tutti i tifosi italiani, purtroppo, l’hanno capito.

Quando dichiari che il razzismo è un problema che va combattuto in Italia, non fai altro che aprirci gli occhi. Stiamo facendo qualcosa, ma non abbastanza. Serve il pugno di ferro con tutti i tifosi, e dovesse servire anche con noi, che siamo i tuoi primi tifosi, siamo disposti ad accettarlo, per poi avere un calcio più pulito, migliore. E un Paese più pulito, migliore. Grazie, Romelu, perché hai sollevato un problema che qui, troppo spesso, viene dimenticato, finché un nuovo episodio non ci ricorda che dovremmo fare qualcosa, fare di più.

Noi cerchiamo di essere inclusivi, come ti abbiamo accennato all’inizio. Perché ci siamo accorti che non lo eravamo, anche se pensavamo di esserlo, visto che nella Curva c’erano anche persone di colore. Ma era una giustificazione comoda per un modo di pensare sbagliato. Pensa, siamo arrivati addirittura a scrivere comunicati in cui sottolineavamo la presenza sulle tribune del Meazza di persone “di diverse razze e provenienze”, che “condividevano la provocazione ai giocatori avversari dell’Inter persino quando questi ultimi erano della stessa razza o provenienza”. Non era tanto tempo fa, fa rabbrividire: stiamo cercando di cambiare.

Ti preghiamo, Romelu, di aiutarci in questo cambiamento. Di farci capire cosa è realmente il razzismo e di ricordarci che esistono ancora oggi persone razziste, fuori e dentro gli stadi.

La lotta al razzismo deve essere feroce, come tu ci stai insegnando. La cura è l’educazione. E siccome siamo in clamoroso ritardo, l’educazione va insegnata in tutti i luoghi della nostra cultura: non selezioniamo. Dunque, cominciamo dagli stadi, ma anche dalle scuole, dai media, dai luoghi di lavoro, di aggregazione, da tutto ciò che ci può venire in mente. Educhiamo in tutti i luoghi della vita.

Perché chi è razzista dentro uno stadio lo sarà anche fuori.

I tifosi italiani – anzi, gli italiani – non sono perfetti, lo avrai notato. E ci dispiace che tu ti sia scontrato subito con il peggio di noi: comprendiamo la tua frustrazione. Ma ci piace pensare che i razzisti siano una minoranza. E che ci siano tante persone che cercano, ogni giorno, di cancellare questo problema. Come hai fatto tu. E come speriamo farai sempre, insieme a noi.

Ancora una volta,

Grazie Romelu.

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