Ryan Mason, miracolo a Londra

Il successore di José Mourinho al Tottenham è un ragazzo di nemmeno trent’anni che nel 2017 ha rischiato di morire in campo dopo uno scontro con Cahill. Dopo aver lasciato il calcio a malincuore si è rifatto una vita come allenatore

“Tutto succede per una ragione”, “Everything happens for a reason”: questo ha scritto sul braccio Ryan Mason, il nuovo allenatore del Tottenham al posto di José Mourinho. Un tatuaggio che ogni giorno, ogni minuto, gli ricorda il miracolo avvenuto nel tardo pomeriggio del 22 gennaio del 2017, durante la sua ultima partita da calciatore prima di un incidente in campo che quasi gli era costato la vita. E che gli ha aperto, qualche tempo dopo, la carriera da allenatore.

“Una fontana di sangue”

Domenica pomeriggio di una qualsiasi giornata di Premier League. È il 2017 e il Chelsea di Antonio Conte sta galoppando a caccia della vittoria in campionato. L’avversario a Stamford Bridge è di quelli tutto sommato comodi: l’Hull City, penultimo e che effettivamente retrocederà a fine stagione. Al dodicesimo minuto sullo 0-0 c’è un calcio d’angolo per i Blues e cross di Pedro, l’attuale giocatore della Roma, verso il centro dell’area.

Qui, nel mucchione, svettano in due: da un lato Gary Cahill, stopper del Chelsea, fortissimo nel gioco aereo, e dall’altro Ryan Mason, talentuoso centrocampista dell’Hull, acquisto più costoso nella storia dei Tigers che per lui nel precedente mercato estivo hanno sborsato ben 12.5 milioni di sterline, circa 15 milioni di euro.

Mason è un prodotto del settore giovanile, sempre florido del resto, del Tottenham. Con gli Spurs ha anche debuttato in Premier League, dove ha già segnato due gol. Il secondo, il 13 settembre del 2015, era stato decisivo per battere il Sunderland, ma gli aveva provocato anche un brutto ifortunio al ginocchio, scontrandosi contro il portiere in uscita. Fuori un mese e mezzo per quella distorsione, poi altri guai alla caviglia, proprio nel campionato che avrebbe dovuto essere la sua consacrazione. Dopodiché, l’acquisto da parte dell’Hull, convinta delle qualità di quel centrocampista dalla tecnica pulita e bravo negli inserimenti.

L’infortunio contro il Sunderland, però, non è niente paragonato a ciò che gli capita a Stanford Bridge, a pochi metri dai suoi genitori che hanno deciso di andare a vedere la partita sugli spalti. All’altezza del dischetto del rigore si vede la palla crossata da Pedro rimbalzare tra le teste di Cahill e Mason, ma soprattutto si sente, nettamente, nitidamente, un rumore sordo, come di due oggetti che si scontrano con violenza. Sono le teste dei due giocatori, i quali subito cadono a terra.

Il giocatore del Chelsea si contorce dal dolore, mentre Ryan crolla, almeno all’inizio, a mo’ di sacco vuoto, gli occhi sbarrati, la testa perpendicolare al terreno. In una frazione di secondo l’arbitro Neil Swarbick interrompe subito le operazioni e richiama i medici dell’Hull, assieme ai compagni di squadra di Mason.

Il più vicino al ragazzo è Tom Huddlestone, che gli tocca la testa, mentre il centrocampista nel frattempo ha recuperato i sensi e si sta toccando dietro l’orecchio destro, come per tamponare una perdita di sangue che in realtà non c’è. Sui capelli, infatti, non c’è nessun segno di ferita, anche se Mason in seguito dichiarerà che in quegli attimi gli era sembrato di sentire “una fontana dentro la testa”. Segno che, in effetti, stava avendo un’emorragia, ma interna.

Arrivano le barelle che in pochi secondi impacchettano Ryan e lo portano fuori e da qui in ospedale. La partita per la cronaca la vincono i Blues per 2-0, rafforzando la leadership in classifica: gol di Diego Costa nel maxi-recupero del primo tempo e proprio di Cahill, che nel frattempo è rimasto in campo, nella ripresa.

61 minuti per sopravvivere

L’impatto tra Cahill e Mason è impressionante da vedere, un pugno nello stomaco. Il giocatore dell’Hull sta per rinviare di testa il cross di Pedro, lento e calibrato, e da dietro viene centrato appena sotto la tempia destra dal difensore del Chelsea in arrivo in corsa da dietro e che cerca di anticiparlo. Ryan non ha modo di rendersi conto di ciò che gli sta accadendo, è un treno che prende in pieno in uno dei punti più a rischio del corpo.

Infatti fin da quando è sdraiato semi-incosciente sulla barella, con l’ossigeno, tutti i sanitari, in primis il medico dell’Hull, Marc Waller, si rendono conto della gravità della cosa. Mamma e papà Mason dalla tribuna devono correre sull’ambulanza che sta portando il loro figlio all’ospedale più vicino per i primi controlli. Ryan sente solo delle parole di incoraggiamento dei suoi genitori, ma è del tutto rintronato, la parte destra del suo volto si sta come spostando per via della frattura al cranio subita.

Non lo sa, ma stanno per accadere un paio di congiunzioni astrali degne di un film. Intanto Waller spiega agli autisti dell’ambulanza di non andare ai due ospedali più vicini a Stanford Bridge, ma a un altro, al Saint Mary, dove il medico sa che c’è un chirurgo specializzato negli interventi su questo tipo di incidenti.

Una volta arrivato lì, come racconterà lo stesso Mason, «non mi potevo muovere, avevo un gran mal di testa e a un certo punto ho avuto un’esperienza extracorporale, in cui dall’alto vedeva un parco con due bambini e un cane». È una lotta contro il tempo, quella dei soccorritori e dello staff del Saint Mary, perché Ryan sta morendo, letteralmente.

In maniera assurda, sempre stando ai ricordi di Mason, due giorni prima della partita il medico dell’Hull aveva dovuto affrontare, come sempre, una simulazione d’infortunio in campo; e incredibilmente Waller si era esercitato sul caso di un giocatore andato a sbattere con violenza contro un palo. Quindi era arrivato a Londra più che preparato, nemmeno a farlo apposta, e sapeva benissimo come comportarsi.

Un’ora e un minuto dopo l’impatto con Cahill, comunque, Ryan va sotto i ferri. Chi comincia l’operazione, però, non è il chirurgo per cui i soccorritori sono corsi lì, ma un praticante, che mai aveva approcciato nulla del genere. È questo ragazzo, però, a fare le prime lastre e ad aprire il cranio del centrocampista dell’Hull fino all’arrivo del “titolare”.

Doloroso ritiro

Quattordici placche di metallo e 28 viti per tenerle assieme, più 45 punti di sutura intorno all’orecchio destro. Così rimane la testa di Mason, drenata anche del sangue che effettivamente stava uscendo. Ryan è salvo, ma ci vuole ancora parecchio tempo non per tornare in campo, quanto piuttosto per un abbozzo di normalità. Finché è rasato la cicatrice è spaventosa quasi come lo scontro con Cahill.

Anche recuperare l’udito è faticoso, tanto che il ragazzo deve sottoporsi a un’altra piccola operazione per levare alcuni degli otoliti presenti nell’orecchio destro, alcuni dei sassolini che aiutano a mantenere l’equilibrio. I mal di testa però proseguono, per non parlare delle nausee e delle sensazioni di instabilità.

È un calvario che per Mason sembra non finire mai. Per arrivare all’osso del cranio occorre intervenire sul muscolo temporoparietale, sempre attorno all’orecchio destro, ma ciò comporta nuovi problemi alla bocca, che Ryan per due mesi non riesce nemmeno ad aprire. Quindi nuovo giro di specialisti per recuperare la forza del muscolo.

L’Hull City intanto retrocede, ma con la nuova stagione Mason si rimette in moto per giocare. «Non mi ero mai sentito meglio», ammetterà. Il 22 agosto del 2017 è in programma la partita di Coppa di Lega contro il Doncaster e fino a due giorni prima Ryan si è allenato regolarmente con i compagni. Martedì 21 agosto, l’ultimo controllo prima dell’idoneità agonistica; che però è una mazzata per lui e le sue ambizioni di calciatore professionista. Dai risultati i medici gli sconsigliano di rimettere piede in campo, visti gli altissimi rischi di perdita della memoria o di dislessia prima dei trent’anni.

Così, al bivio “vita o calcio”, Mason sceglie la prima opzione e si ritira. Pochi mesi prima era entrato nel giro della nazionale inglese (aveva già esordito contro l’Italia nel 2015) ed era uno dei giocatori più interessanti della Premier e adesso doveva reinventarsi. Come? Da allenatore delle giovanili, al “suo” Tottenham, che il giorno del suo addio al calcio aveva già salutato Ryan come “uno dei nostri”.

Dopo aver scalato tutte le tappe nell’Academy degli Spurs in tre anni adesso si siede, affiancato da Chris Powell, sulla panchina che fino a poco fa era occupata da José Mourinho, lo Special One, anche se un po’ arrugginito. L’esperienza vissuta da Mason, però, è altrettanto “special”.

Da qui a fine stagione non possiamo che augurargli buona fortuna. Il debutto con la vittoria contro il Southampton non poteva essere migliore.

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