L’allenatore che guida la Liberia in cambio di un rimborso spese

Alla guida del Botswana, qualche anno fa, Peter Butler ha fatto esordire il più vecchio portiere della storia: il 46enne Stuart Heath. Ora l’allenatore inglese si è seduto sulla panchina della Liberia per la sfida più difficile della sua carriera

Peter Butler si considera uno spirito libero. Ha scelto l’Africa perché davvero innamorato del Continente Nero. Vive a distanza di sicurezza dai resort o dagli alberghi delle catene internazionali. È accaduto nel Botswana, ma anche in Sudafrica, così come da qualche settimana sta accadendo in Liberia. Il 53enne allenatore britannico ha deciso di guidare la nazionale che fu di George Weah e in cambio ha chiesto un piccolo rimborso. «Amo le sfide – ha raccontato – ho guadagnato il giusto nella mia carriera. Non sono avido, ma adoro mettermi sempre in discussione. Voglio contribuire alla crescita di un calcio che ha un valore inestimabile sotto il profilo del patrimonio umano».

Butler si occupa della prima squadra, ma è il supervisore di tutto il settore giovanile liberiano. Non ha voluto al suo fianco alcun collaboratore straniero. «Sarebbe stata un’offesa nei confronti di chi lavora con serietà e competenza a queste latitudini. Io insegno calcio, ma ho molto da imparare da chi vive la quotidianità qui a Monrovia».

I gesti estemporanei e le scelte controcorrente rappresentano il vivere quotidiano di Butler. Fu lui nel 2014 a generare l’epopea del carneade Stuart Heath. All’epoca Heath aveva 46 anni e riuscì nell’impresa di vestire la maglia di una nazionale, quella del Botswana. Roba da guinness dei primati o di “strano ma vero” della settimana enigmistica, se si trattasse di una semplice nota a margine.

Heath in realtà è un personaggio a tutto tondo, apparso il 19 novembre 2014 allo stadio Orange di Dakar con la casacca del Botswana. A difendere i pali e i colori delle “zebre” l’aveva voluto appunto il ct Butler, suo ex compagno di squadra nel West Ham, roba di un quarto di secolo prima. «Sono londinese a tutti gli effetti – raccontò ai cronisti davanti alla porta dello spogliatoio a fine gara – mia madre è del Botswana. La nazionale? Una folle idea venuta in mente a Peter mentre stavamo bevendo una birra al pub. Diceva di non avere portieri di qualità e mi chiese se me la sentivo di mettermi a disposizione». Heath si allenò intensamente per quaranta giorni. Aveva chiuso col professionismo sei anni prima e si manteneva in forma con gli amici del calcetto come un dilettante qualsiasi. Per farsi trovare pronto all’appuntamento perse sei chili, buttò via le sigarette, limitò le birre, e si fece tesserare dai semiprofessionisti del Warrington Town.

Tutto merito di Butler, che ricordando quell’episodio continua a rimanere convinto della sua decisione. «Scusate, ma se il grande George Best riuscì a far tesserare e a giocare nei Los Angeles Aztecs il suo autista Bob McAlinden, non vedo perché la mia decisione debba ritenersi azzardata o fuoriluogo».

Difficile prevedere un cammino senza ostacoli per la Liberia, alla caccia di un traguardo iridato da canone inverso. George Weah, oggi presidente di una repubblica in passato martoriata dalla guerra dei diamanti, è stato una sorta di mosca bianca di un movimento calcistico che non ha quasi mai fornito particolari acuti, ma con Butler in circolazione potrebbe accadere qualsiasi cosa. Per il momento la sua Liberia ha superato il turno preliminare, mettendo sotto la Sierra Leone. E dopo aver lanciato, nel Botswana, il portiere più vecchio della storia, ci ha riprovato, in Liberia, con quello più giovane del calcio locale. Le prove fornite da Ashley Williams, 18 anni, hanno acceso gli entusiasmi persino dei detrattori più integralisti. Di questo ragazzo ne sentiremo ancora parlare, a patto che non venga fagocitato dalle trappole disseminate in un’Africa madre e matrigna.

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