Incontro con l’ex portiere Ole Qvist, protagonista con la Danimarca che agli Europei ’84 mostrò la forza d’urto della Danish Dinamite. Oggi, vigile del Fuoco a Copenhagen, guarda al passato senza rimpianti
COPENAGHEN – Dal 1° gennaio Ole potrà godersi la meritata pensione. Gli è stata recapitata una lettera che attendeva da tempo, vergata dal ministero del lavoro e sottoscritta dal comando cittadino dei vigili del fuoco di Copenaghen. Dopo quarant’anni di onorata carriera, Ole potrà dedicare più tempo alla famiglia, ai nipoti, coltivare l’hobby della pesca, leggere libri, e seguire dalle tribune del Telia Parken le gesta dell’Fc Copenaghen, la squadra del cuore.
È probabile che Ole si offenderebbe ad essere etichettato un nonnetto arzillo, del resto ha solo 69 anni e possiede la fortuna di vivere in una città tra le più belle al mondo, dove tutto funziona con armonia e dove a sostituire il pallido e basso sole ci pensa il calore genuino dei suoi abitanti.
Nella capitale danese l’immagine idilliaca delle casette di legno rosse rimane intatta. A queste latitudini si parla ancora di design, di musica, di Volvo, dei mattoncini del Lego, di matrimoni reali, di pippi calzelunghe e di libertà sessuale. Ole sa perfettamente che lo sviluppo di Copenaghen è dipeso e dipende dalla materialità stessa della città e dalla sintassi della sua memoria.
A Ole il pompiere è necessario aggiungere un cognome, Qvist, e un’esistenza parallela, portiere di calcio. Non una porta qualsiasi, ma il fortino della nazionale scandinava, difeso in 39 circostanze. Con i danesi ha disputato gli Europei del 1984 in Francia, quelli che mostrarono al mondo del pallone la forza d’urto della Danish Dinamite, una miscela esplosiva di talento e di vigoria atletica. Era la Danimarca di Elkjaer, Miki Laudrup, Bergreen, Lerby, Morten e Jesper Olsen, di Arnesen, dell’elettricista Ivan Nielsen e del Pallone d’Oro Sorensen.
All’euro-francese i danesi frantumarono Jugoslavia e Belgio, per poi cadere ai rigori in semifinale di fronte alla Spagna. Due anni dopo, ai mondiali messicani, furono fuochi pirotecnici contro Scozia, Uruguay e Germania. Poi la cicala cedette il passo alla formica-killer Butragueno in un inverosimile pomeriggio a Queretaro. «Una grande Danimarca – ricorda Qvist – ma con il problema del portiere. E non ho alcun fastidio nel fare autocritica».
Ole, vigile del fuoco della caserma di Rosenborg Barracks, e titolare della maglia del defunto Kjobenhavns Boldklub, venne scelto da Piontek perché considerato, parole dell’ex ct, «il meno peggio di quella generazione». Ole non si è mai risentito, rallegrandosi semmai di aver giocato gli Europei. Avrebbe dovuto essere il numero uno anche due anni dopo in Messico, «ma soffrivo di emicrania a grappolo, una patologia che ha condizionato la mia carriera sportiva. Riuscii ugualmente a partire per la trasferta in Messico, superando la concorrenza di un giovanissimo ma agguerrito Peter Schmeichel, all’epoca in forza al Hvidovre».
Per la cronaca tra i pali ci finì Troels Rasmussen, oggi impiegato al porto di Aarhus. Dopo la gara d’esordio contro la Scozia, Rasmussen, debilitato dalla dissenteria che ai mondiali messicani non guardò in faccia a nessuno (quasi uccise Passarella), fu costretto a cedere il testimone non a Qvist, nuovamente alle prese con l’emicrania, ma a Lars Hoegh, la prova vivente di quanto il terzo incomodo possa godere del privilegio di una diatriba tra i due litiganti.
Ole Qvist non giocò più in nazionale e l’anno successivo, con 37 primavere sulle spalle, si ritirò anche dall’agonismo. «Schmeichel padre e figlio hanno messo tutti d’accordo – commenta – e se dovessi spendere due parole per il futuro vi garantisco che sta per nascere una stella. Si chiama Andreas Sondergaard, ha 18 anni e gioca in Inghilterra nel Wolverhampton. Molto presto il mondo si accorgerà di lui».



