Mohammed Al Deayea, totem sportivo dell’Arabia Saudita e recordman di presenze in nazionale, ricorda quando sfiorò il Manchester United e racconta le sue impressioni sull’attuale panorama calcistico europeo
«Potrebbe essere di nuovo l’anno del Liverpool, è a mio avviso la squadra più completa del panorama europeo». Mohammed Al Deayea, 47 anni, è il monumento del calcio dell’Arabia Saudita, se non altro per il record, imbattuto, di presenze in nazionale, 178. Oggi indossa eleganti abiti di sartoria e da Dubai commenta per Mbc Pro Sport Tv i più importanti eventi del pallone.
“Moma” vive di calcio, non più quello agonistico, abbandonato nel 2012 (nel corso di un’amichevole di lusso contro la Juventus), ma veste i panni (come si diceva, raffinati) dell’opinionista. L’ho scovato esattamente 13 anni dopo il nostro primo incontro. Oggi su Skype, due lustri fa a Seefeld, in Austria, il quartier generale dell’Arabia Saudita per Germania 2006.
«Un giorno potrei anche diventare allenatore, ho il brevetto, ma preferisco criticare piuttosto che riceverle…», racconta con quell’ironia che non ha abbandonato nel tempo il suo spirito. Al Deayea considera Messi «il più grande al mondo. Scontato, no?». Ma se deve fornire un altro nominativo tra coloro che sono chiamati a perpetrare la speranza laica in una religione da design, non ha alcuna esitazione, «Alexander-Arnold del Liverpool, nella corsa è il più forte del pianeta».
Come accennavo ho conosciuto il totem del calcio saudita nella primavera del 2006, quando la compianta Radio Comunitat Valenciana mi aveva chiesto di documentarmi sull’Arabia Saudita, avversaria in Coppa del Mondo delle Furie Rosse. Seefeld, collocata su un assolato altopiano austriaco a metà strada tra cielo e terra, era il luogo ideale per lavorare in santa pace in vista dei mondiali.
Avevo incrociato Al Deayea anche otto anni prima in Francia, ma a distanza di sicurezza, e soprattutto non era ancora un calciatore da leggenda. Lo diventò nel tempo, con quel pantalone della tuta che aderiva alle sue gambe muscolose e infinite. Credo che non si separasse dall’amuleto di stoffa neppure di notte, trasformandolo in un pigiama. Un po’ come Thomas N’Kono una vita prima nell’assolata Vigo, o più recentemente come l’ungherese Kiraly.
Quel mattino a Seefeld mi sorprese, anticipandomi nelle domande e chiedendomi di Vincenzo Montella. Mi spiegò che l’allora “aeroplanino” vantava molti estimatori in Arabia Saudita. Gli chiesi se avesse mai avuto un’opportunità concreta per trasferirsi in Europa. «Nel 2001 Ferguson mi avrebbe voluto allo United per sostituire Fabien Barthez. Purtroppo emersero problemi con i permessi di lavoro».
Problemi spazzati via lasciando Riyadh, a fine carriera, e trasferendosi nella meno radicale Dubai. Da qui arriverà a Istanbul il prossimo 30 maggio, sperando di trovare il Liverpool. «Alisson? È il più grande nel nostro ruolo, Poi metto sullo stesso piano Ter Stegen, Oblak e Courtois». E Al Deayea? «Al Jaber e io abbiamo dimostrato al mondo che si può giocare a pallone, a buon livello, anche dove il caldo opprimente non fa crescere un filo d’erba». Peccato che oggi le zolle arrivino dai vivaisti di Londra, fino a raggiungere il deserto. L’ex portiere saudita si congeda parlando dell’Italia di Roberto Mancini. «I risultati importanti arriveranno. Tra le nazionali giovani quella italiana è probabilmente la più ricca di talenti, un gran bel laboratorio».