Veron, rapsodia stonata in Red and Blue

Nell’estate del 2001 Juan Sebastian Veron era arrivato allo United per far volare il centrocampo di Ferguson. Dopo due stagioni deludenti a Manchester si trasferisce al Chelsea di Ranieri, ma la musica non cambia

L’uomo giusto al momento sbagliato. Juan Sebastian Veron ha lasciato al Manchester United il ricordo di un fallimento, di cui però non è l’unico responsabile. Passato poi al Chelsea nell’estate dell’ebbrezza per l’inizio dell’era Abramovich, sarà anche tra i maggiori flop dei Blues. La campagna d’Inghilterra, dalle illusioni alle frustrazioni, muta nell’incantesimo non riuscito della “Streghetta”.

Lo chiamano così, la Brujita, perché ha ereditato il soprannome del padre Juan Ramon, colonna dell’Estudiantes di fine anni Sessanta dove l’agonismo si accompagna alla percezione di impunità per le violazioni del fair play. Squadra violenta, di sistematici provocatori, nel 1968 ha vinto la Coppa Intercontinentale, che allora si giocava con doppia finale (andata e ritorno), contro il Manchester United. Di Veron il gol del vantaggio all’Old Trafford. «Mi ha parlato della grande atmosfera, di cosa volesse dire giocare contro leggende come Bobby Charlton» racconta Juan Sebastian il giorno della presentazione a Manchester, «ma devo stare attento, è meglio che non vi dica cos’altro mi ha detto».

Lo United lo acquista nell’estate del 2001 dalla Lazio per 28 milioni di sterline: è appena diventato il giocatore più pagato nella storia del calcio inglese. L’arrivo di Veron segna un cambio di passo in una stagione che ai Red Devils si annuncia di transizione, di fine impero. Sir Alex Ferguson ha appena condotto il Manchester United al terzo titolo consecutivo in Premier League. Ma in Champions ha visto qualcosa che non ha gradito.

I Red Devils sono stati dominati, nella fase a gironi, in casa del PSV Eindhoven e dell’Anderlecht. Nei quarti, poi, l’inferiorità a centrocampo contro il Bayern Monaco di Ottmar Hitzfeld ha portato all’eliminazione. «Anderlecht e PSV ci hanno fatto malissimo in contropiede, hanno preso troppo facilmente il sopravvento a centrocampo» ha spiegato Ferguson. «Abbiamo sempre giocato con un tipico 4-4-2, chiedendo alle ali di difendere molto e di attaccare. Ma dopo quelle partite abbiamo dovuto iniziare a pensare a qualcosa di diverso, a giocare con tre centrocampisti centrali per non trovarci così esposti. Giocare a tre in mezzo ci può aiutare in Europa, puoi gestire meglio il pallone e controllare di più la situazione».

Ferguson, che ha il contratto in scadenza nel 2002, annuncia che quella sarà la sua ultima stagione, e vuole chiudere in bellezza, con un’altra finale di Champions: anche perché si giocherà a Glasgow, nella sua Scozia. Per conquistare l’Europa sente che il dogma del 4-4-2 non basta più. Ci vuole qualcosa di diverso, ci vuole Juan Sebastian Veron, il primo sudamericano della sua gestione, il campione più pagato fino a quel momento nella storia del club. Arriva anche Ruud Van Nistelrooy, che segnerà 95 gol in quattro stagioni. Parte invece Jaap Stam, per abbassare il monte ingaggi: la pubblicazione di estratti della sua autobiografia sul Mirror in cui deride i compagni di squadra non lo aiuta. “È stato il mio errore più grande” dirà otto anni dopo Ferguson, che resterà a guidare i Devils per un’altra decade.

«Era il giocatore più forte che avessimo mai visto, a parte Cantona. In allenamento era incredibile. Ricordo che dopo la partita contro l’Everton pensai: con uno così, io non giocherò più, mi dovrò trovare un’altra squadra», Nicky Butt.

Titolare nelle prime cinque partite, Veron segna il primo gol inglese alla quarta giornata: scambio con Keane, controllo di petto, tiro preciso. È uno dei primi segnali fuorvianti, è come l’immagine restituita da uno specchio deformante. Perché tra Keane e Veron il feeling non scatta, anzi. «Sono stato molto duro con Seba e ho sbagliato» ammetterà anni dopo l’irlandese. «Quando è arrivato, mi aspettavo miracoli, e quando non succedevano me la prendevo sempre con lui». Furibonda la discussione dopo l’errore che costa la sconfitta in casa contro il Middlesbrough a marzo. Veron si fa rubar palla da Benito Carbone che lancia Boksic, suo ex compagno alla Lazio: 0-1.

Nicky Butt, che doveva soprattutto marcare il più creativo dei centrocampisti avversari, è squalificato. Lo osserva con ammirazione e una punta di rassegnazione che si insinua. «Era il giocatore più forte che avessimo mai visto, a parte Cantona. In allenamento era incredibile. Ricordo che dopo la partita contro l’Everton pensai: con uno così, io non giocherò più, mi dovrò trovare un’altra squadra» ha raccontato.

Veron segna anche al Newcastle la settimana dopo, ma non basta per evitare la sconfitta, e partecipa al clamoroso 5-3 a White Hart Lane in casa del Tottenham che è avanti 3-0 alla fine del primo tempo. La reazione di Ferguson all’intervallo è solo vagamente immaginabile. La ripresa i Red Devils danno piena concretezza al soprannome, Veron segna il gol del sorpasso. «Sta nascendo un bel rapporto, a fine partita i compagni mi hanno abbracciato tutti» commenta.

Viene eletto giocatore del mese della Premier League a settembre, ma lo United non decolla: a dicembre, dopo una sconfitta contro il West Ham, è nono in classifica. Praticamente a Natale, Sir Alex offre il suo regalo al club: resterà, niente ritiro a fine stagione. Il tetragono del 4-4-2 col centrocampo in linea sta diventando un “Tinkerman”, un temporeggiatore, un indeciso. In effetti alterna 4-4-2 a un 4-5-1 che sperimenta senza piena convinzione: i suoi centrocampisti non sanno più se e soprattutto in che posizione giocheranno la partita dopo.

Aver inserito in squadra un centrocampista come Veron non contribuisce a risolvere i dubbi. Perché non è facilmente inquadrabile, non è sintetizzabile nell’etichetta di un ruolo, scrive Michael Cox nel libro “The Mixer”: “Non è un classico numero 10 argentino, non è un regista basso, è troppo languido per essere considerato un giocatore box-to-box”, una mezzala che copre tutto il campo come Steven Gerrard o Frank Lampard. Col passare della stagione, peggiora anche la sua condizione: rispetto all’Italia, accusa, in Inghilterra ci si allena molto meno. Si fa anche male al tendine d’Achille, un infortunio che lo penalizza nella seconda parte di stagione.

«Veron è un fottuto campione e voi siete tutti dei fottuti idioti». Sir Alex Ferguson ai giornalisti che criticavano l’argentino.

Regala comunque due assist nell’ottavo di ritorno di Champions contro il Deportivo La Coruna, gioca da titolare le due sfide dei quarti contro il Bayer Leverkusen: 2-2 all’Old Trafford, 1-1 in Germania, passano i tedeschi per i gol in trasferta. In conferenza stampa, Ferguson lo difende e abbandona, non certo per la prima volta, i toni morbidi della diplomazia. «Veron è un fottuto campione e voi siete tutti dei fottuti idioti» dice ai giornalisti che certo non possono fraintendere. Il Manchester United chiude terzo in Premier League, il peggiori piazzamento negli ultimi undici anni.

La stagione successiva, Veron sembra sentirsi più a casa nel centrocampo dei Red Devils, soprattutto nelle notti d’Europa. Quattro gol e due assist ne fanno il centro di gravità della squadra nella fase a gironi di Champions League. In campionato, disegna un assist al bacio per David Beckham che timbra con un pallonetto il 2-0 al Birmingham dopo Natale. Segna due gol ma si fa ricordare soprattutto per il modo in cui orchestra il gioco dello United nel 2-0 ai campioni in carica dell’Arsenal in una situazione di totale emergenza: sono infatti assenti Butt, Keane e Beckham, e Veron gioca in mezzo accanto a un terzino, Phil Neville.

L’infortunio al ginocchio contro il Leeds a marzo lo rende uno spettatore della rimonta del Manchester United che aggancia e supera l’Arsenal, capace di sprecare un vantaggio cresciuto fino a otto punti in classifica. Nelle ultime partite, la sua assenza consente a Ferguson di tornare senza indecisioni al 4-4-2, ma sarebbe semplicistico ridurre a questo fattore il successo in campionato. I Red Devils, infatti, non perdono più in Premier dal Boxing Day per diciotto partite di fila: e Veron ne gioca sette, di queste, da titolare.

Ferguson gli fa chiaramente capire a fine stagione che non avrà un posto garantito da titolare. Niente di particolarmente sorprendente, ma l’argentino non la prende bene. E lascia Manchester. Sua moglie, pur abituata alle periodiche ricollocazioni, scoppia in lacrime: non era mai successo prima, non sarebbe mai successo dopo. Veron, che si pentirà di quella decisione impulsiva, accetta l’offerta del Chelsea.

Se la sua prima stagione a Manchester era stata segnata da un’atmosfera da fine impero, il suo arrivo ai Blues è accompagnato dalle fanfare e dai tamburi che annunciano l’inizio di una nuova era. C’è un nuovo presidente, destinato a cambiare l’immagine del club e della Premier League: Roman Abramovich. Il petroliere russo si annuncia con lo sfarzo ostentato dei nuovi ricchi, dei parvenu al ballo di gala. Nella sua prima estate al vertice del Chelsea, spende oltre 165 milioni di euro per 11 giocatori: Damien Duff (24,5 milioni), Hernan Crespo (24,3), Veron (21,5), Claude Makélélé (20), Adrian Mutu (19), Scott Parker (14), Wayne Bridge (10,5), Njitap Geremi (10), Joe Cole (9,9), Glen Johnson (8,3), Aleksey Smertin (5,5).

Anche al Chelsea, il suo è un inizio fulminante quanto illusorio. È suo il primo gol dei Blues nella Premier League 2003-04: cross rasoterra di Gronkjaer, destro a incrociare di prima in corsa, 1-0 ad Anfield. Il Chelsea vince 2-1 (pareggio di Michael Owen su rigore, gol vittoria a 3′ di Jimmy Floyd Hasselbaink), e festeggia il secondo successo in casa del Liverpool in 68 anni.

“L’anno scorso ho giocato una stagione normale, con alcune partite eccellenti e altre negative. Non credo di dover dimostrare cosa posso fare, ma mi sento motivato a rispondere sul campo a chi ha avuto fiducia in me» diceva il giorno della presentazione mentre i figli Iara e Deian, quattro e tre anni, giocavano al fondo della sala per le conferenze stampa.”

POTREBBE INTERESSARTI

I PIÙ LETTI DELLA SETTIMANA

Altre letture interessanti