Troy Deeney, pane al pane

Troy Deeney ha categoricamente espresso il suo rifiuto alla ripresa degli allenamenti in Premier per difendere suo figlio e chi gli sta intorno. Un’altra uscita fuori dai soliti canoni, come quando replicò a chi gli chiedeva come ci si sentisse sotto pressione: “Io sono solo un calciatore, lo è chi fa tre lavori per mantenersi, tipo mia madre”

“Mio figlio ha dei problemi respiratori congeniti e non voglio che corra rischi. Non ho intenzione di tornare ad allenarmi in queste condizioni”. Troy Deeney, capitano e centravanti del Watford, è stato chiarissimo: lui di tornare a toccare un pallone, che sia a gruppi di sei giocatori o di undici, non ne ha proprio voglia. Anzi, si è rifiutato. Il club attualmente quart’ultimo in Premier League è stato il più colpito a livello di numero di contagi per Covid-19 tra i 748 test effettuati: un giocatore e due membri dello staff sono risultati infatti positivi.

Alcuni compagni di squadra si sono detti d’accordo con il loro capitano. “Non potrò andare a tagliarmi i capelli fino a metà luglio, ma devo stare in un’area di rigore e battagliare per un pallone con altre 19 persone? Basta un infetto, me compreso, per contagiare tante persone. Dovrei tornare a casa con i vestiti dell’allenamento e magari mio figlio li tocca: no, non se ne parla. Piuttosto che mi taglino lo stipendio”, ha aggiunto Deeney, un calciatore che quando c’è da esternare un pensiero diretto e concreto non si è mai tirato indietro.

La mamma

Troy Deeney ha giocato 388 partite con la maglia del club che una volta era di proprietà di Elton John e che adesso è della famiglia Pozzo. Uno dei gol più importanti nella storia del Watford l’ha segnato lui, nella semifinale dei playoff di Championship del 2013, in una delle azioni più assurde nella storia recente del calcio. Il Leicester ha vinto l’andata 1-0 e a tempo scaduto sul 2-1 per gli Hornets ha a disposizione un calcio di rigore: lo batte Anthony Knockaert, se segna manda i suoi a giocarsi la Premier e lascia all’inferno la squadra allenata da Gianfranco Zola.

Invece il portiere spagnolo Almunia compie un doppio miracolo, respinge il rigore col piede e con il petto il successivo tentativo di ribattuta del francese. Marco Cassetti, a proposito di italiani, fa partire un contropiede micidiale che si dipana con un cross di Forestieri e si conclude con un tiro rabbioso del numero 9 che vale il 3-1: in 18 secondi il Watford è passato dal rimanere in B un altro anno alla possibilità di promozione in Premier, che poi comunque non otterrà, visto che in finale trionferà il Crystal Palace. Troy dopo il gol si leva la maglia e a petto nudo si lancia in mezzo ai suoi tifosi, come se fosse al pub, e comincia a saltare, ebbro di gioia, mentre la partita finisce. Non è nemmeno un calciatore in quei frangenti, ma solo un ragazzo di 25 anni che sta godendo al massimo.

Anche perché Deeney in fondo non è mai stato un predestinato, anzi: la sua storia è più simile a quella di un Jamie Vardy, esploso tardi (nel caso del centravanti del Leicester fino a vincere una Premier) dopo tantissima gavetta, che a un Messi, un Ronaldo o un Mbappé. C’è stato un periodo in cui per guadagnarsi da vivere lavorava come muratore, guadagnando 120 sterline a settimana vicino all’aeroporto di Birmingham, a Chelmsley Wood, non esattamente il posto migliore dove crescere, ma insomma, in questa zona dell’Inghilterra resa celebre dalla serie tv “Peaky Blinders”, è un attimo prendere la strada sbagliata al bivio, impiego onesto da una parte, criminalità dall’altra.

Deeney non ha mai avuto la fissa per il calcio: sì, ok, all’inizio due tiri al pallone con il Chelmsley Town, la squadretta dilettantistica del paese, ma nulla di più. Birre e whisky al bar, qualche ragazza con cui flirtare: poco altro. I problemi erano altri, fin dalla nascita praticamente, il padre biologico che lascia la madre prima ancora che Troy venga al mondo; il padre putativo, piccolo criminale, spacciatore di droga (il famoso bivio, ecco, l’aveva preso dalla parte sbagliata), che si separa da mamma Emma quando Deeney ha 11 anni. Un colpo durissimo perché lui, insomma, a quel signore voleva bene, anche se entrava e usciva di continuo dalla galera e ogni tanto ci scappavano le botte, a lui e alla moglie, con tanto di assistenti sociali in casa.

La signora Emma, però, è così, è una donna pragmatica, per far campare dignitosamente la sua famiglia (Troy e gli altri quattro figli) fa tre lavori contemporaneamente. È di gran lunga la persona più importante nella vita del capitano del Watford, che di recente, a fine 2019, dopo una vittoria 2-0 contro il Manchester United con un suo gol su rigore, il primo da aprile, da quando era stato fuori per infortunio, risponde così alla giornalista che gli domanda come ci si senta: “La vera pressione è mia mamma che deve far quadrare i conti facendo tre lavori: questo è calcio”. Alla signora Emma Deeney ha anche dedicato una poesia, nientemeno, il giorno della Festa della Mamma: “Tu eri qui prima che ce la facessi, prima della fama, prima del dramma, del ritorno, dell’amore per il gioco”. E così via, versi molto toccanti. “Quando ti guardo so cosa significhi l’orgoglio”.

 

Giù dal letto


Per arrivare al Watford, alla Premier League e a uno stipendio che chiunque nella sua famiglia poteva solo sognarsi, Troy è passato da anni di pane durissimo. È un ragazzino problematico, a 14 anni è stato già espulso dalla scuola, quando l’Aston Villa gli offre un provino per la squadra giovanile. Non si presenta a tre dei quattro giorni di test con una giustificazione quasi alla George Best: “Ero in vacanza, cosa avrei dovuto fare? Andare lì o al parco dove c’erano le ragazze?”. Con la differenza che Deeney non è George Best, ecco.

Un sabato mattina, dopo l’ennesimo venerdì sera fatto di pinte, mamma Emma è stufa, in più deve pulire casa. Va in camera sua e letteralmente lo sbatte giù dal letto. Deve anche giocare una partita, nel pomeriggio, con il Chelmsley, non può presentarsi all’incontro come un rottame. Troy si fa passare l’hangover, la sbronza, prepara la borsa e segna sette volte. Per lui stare in quella squadra è già il top, il massimo dell’esistenza, perché nel suo quartiere tutti i più fighi giocavano lì.

Per sua fortuna in tribuna c’è un osservatore del Walsall, squadra di quarta serie, allora come oggi in League Two. “Ragazzo, vieni a fare un provino per noi?”, gli chiede Mark Halsall, che doveva andare a vedere un’altra partita nei dintorni, ma il match era stato posticipato e così aveva ripiegato sul Chelmsley, perché giocava suo figlio, mica per altro. Non male quel centravanti, sette gol. “Mi sembrava uno dei tanti signori anziani con cui parlavo al pub”, ricorderà quell’incontro Deeney. Non sa nemmeno dove sia Walsall, poi controlla su una cartina: è a dieci minuti. Quasi quasi, pensa, se va bene potrebbe essere un’alternativa al muratore.

Stavolta al provino si presenta, merito soprattutto dell’allenatore del Chelmsley, che lo va a svegliare a casa e gli paga il taxi (20 sterline) per andare al campo del Walsall. Rimane una settimana, due mesi, lo schierano con la squadra riserve e segna otto gol in otto partite. Alcuni suoi compagni, più esperti, che hanno uno stipendio abbastanza dignitoso, a volte si lamentano per gli allenamenti troppo duri. “Voi scherzate, vero? – li rimbrotta Troy –. Io al Chelmsley mi allenavo alle otto di sera dopo che mi alzavo alle 6 di mattina e lavoravo fino a tardo pomeriggio”. Altra mentalità.

Viene mandato in prestito all’Halesowen tra i dilettanti e pure lì fa molto bene. Al termine della stagione 2006-07 può finalmente esordire in prima squadra con il Walsall, che nel frattempo si è guadagnato la promozione in League One, la terza serie, a quasi 19 anni. È il primo di quattro campionati al termine dei quali viene ceduto al Watford per 500mila sterline. Ha cominciato come ala destra prima di essere spostato al centro dell’attacco, e infatti l’ultima stagione la chiude con 14 gol.

Lo stipendio passa magicamente da 1.200 a 6mila sterline a settimana. D’altronde adesso è in Championship, la Serie B inglese, quasi nell’élite. Nel 2012, però, fuori da un pub di Birmingham finisce coinvolto in una rissa, quasi ammazza un ragazzo, gli rompe “solo” la testa, ma lo aspetta la galera per tre mesi, dopo che la prima condanna era stata di dieci. Nel frattempo il suo padre putativo, l’ex spacciatore di droga, muore per un tumore: è il momento più difficile, adesso, per Deeney. È il “dramma” citato nella poesia dedicata alla madre. Si sente responsabile, capisce che il vecchio Troy, quello delle serate fuori e delle sbronze, deve sparire.

Ad aiutarlo ci pensa anche il calcio, il Watford non lo licenzia anche se non lo paga per il periodo del carcere, e con il nuovo allenatore Gianfranco Zola torna centrale. La stagione del gol all’ultimo secondo al Leicester finisce male, niente promozione in Premier, in quella dopo nemmeno, ma poi sì, nel maggio 2015 ecco la promozione a suon di gol (20). Gli è stata affidata anche la fascia di capitano, evidentemente è maturato oltre ad essere diventato un attaccante temibile. Riceve addirittura i complimenti via telefono dal patron del club, Elton John, un incontro tra due mondi quasi agli antipodi, insomma, basti pensare che Deeney si fa dare dal massaggiatore quando possibile le scarpe da gioco dei compagni un po’ ammaccate destinate alla spazzatura per portarle ai bisognosi di Chelmsley, ragazzi che non potrebbero permettersele, e magari sono ancora buone per qualche tiro.

Come Vardy? Insomma, sentite cosa ne pensa Troy: “Ma avete visto dove giocava Jamie prima del Leicester? In campi stupendi, perfetti. I nostri facevano schifo”. Un matrimonio fallito alle spalle, due figli da proteggere da tutto, decisioni governative comprese, il calciatore più prolifico nella storia del Watford è anche un facile bersaglio dei razzisti, che lo tempestano di messaggi privati sui social dandogli del “nigga” con l’emoji della scimmia come allegato. Commentando se si senta davvero realizzato Deeney ha rimarcato: “La felicità? Una volta credevo che fossero i soldi, anche quando facevo il muratore. In verità è il potersi svegliare ogni mattina sapendo che sei vivo”.

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