Liti in diretta, dichiarazioni a effetto, schemi particolari e la consapevolezza di aver dato il meglio, come mister, fuori dall’Italia. A Cagliari Walter Zenga cerca l’ennesima rivincita
Il calcio è strano, Walter. Ti esalta e poi ti affossa, poi magari ti ripesca all’improvviso, quando sembrava essersi dimenticato di te. Hanno ucciso l’Uomo Ragno, poi l’hanno resuscitato e ucciso di nuovo. Qualche volta, va detto, pure lui ci ha messo del suo a farsi del male a dar loro una mano.
Fatto sta che – parafrasando uno che a Cagliari ha lasciato giusto un paio di ricordi buoni – tutto ci aspettavamo dalla nostra vita fuorché di rivedere Walter Zenga su una panchina di Serie A. O forse, al contrario, ce l’aspettavamo. Perché poi è così che vanno le cose.
Raccontare Walter Zenga è un’impresa complicata eppure semplice al tempo stesso. A fornire una marea di aneddoti e frasi su cui ricostruire un profilo personale è lui stesso. Walter Zenga è l’uomo che fu il miglior portiere del mondo per tre anni di seguito (lo sostiene il discutibilissimo IFFHS, ma c’è da dire che è una delle cose su cui è più difficile dargli torto) e che ancora oggi detiene il record di imbattibilità nella fase finale di un Mondiale.
L’uomo che non subì gol a Italia 90 per 517 minuti di fila ma che prese proprio l’unico che non avrebbe mai dovuto prendere, nel modo peggiore possibile, finendo per costare una finale mondiale all’Italia. Zenga è anche l’allenatore che a metà degli anni 2000 infilò uno dietro l’altro un titolo nazionale in Serbia con la Stella Rossa e uno in Romania con la Steaua Bucarest. Però è pure quello che ha chiuso le ultime cinque esperienze professionali con due esoneri, due rescissioni consensuali e una retrocessione.
Eterno promesso dell’Inter
Secondo una vulgata particolarmente diffusa nella tradizione popolare, Zenga è anche l’allenatore del futuro dell’Inter. Lo è praticamente da 15 anni a questa parte, da quando ha iniziato a vincere qualcosa in giro per l’Europa post comunista, quella meno pop.
Non è chiaro chi l’abbia messa in giro, ma è certo che nell’epoca post Mancini e Mourinho andava decisamente di moda. Quando l’allenatore che non è un pirla passò al Real Madrid, Zenga era sulla short-list di Moratti. Poi però arrivò Rafa Benitez che fu sostituito da Leonardo. Il nome di Zenga tornò in auge l’anno dopo, a seguito dell’esonero di Gasperini, ma solo come il preferito dei tifosi, perché il presidente scelse Claudio Ranieri.
Insomma, Zenga è ancora lì che aspetta e non manca mai di ricordare quanto il suo cuore sia. “Il giorno in cui l’Inter mi chiamerà, potrò pure morire”, ha detto una volta. E sotto sotto c’è una parte di lui che, nonostante tutto, ci spera ancora.
Lo scontro con Varriale
Mentre aspettava l’Inter, intanto, Walter Zenga decise di farsi le ossa col Catania. Una salvezza per il rotto della cuffia da subentrato e un quindicesimo posto con qualche sprazzo di bel calcio l’anno dopo. Eppure di quegli anni catanesi rimane soprattutto un episodio, rimasto incollato a Zenga come nient’altro di tutto ciò che gli sarebbe capitato prima o dopo.
Dopo aver disertato i microfoni Rai la settimana prima, Zenga si presentò a Stadio Sprint e partì all’attacco di Enrico Varriale, che l’aveva rimproverato in diretta per la sua assenza ingiustificata. Il conduttore, piuttosto che cercare di calmare le acque, decise di rivangare il ricordo di quell’uscita a vuoto su Caniggia, facendo uscire completamente dai gangheri Zenga. Ricordare le parole esatte di quella lite sarebbe persino superfluo, perché espressioni come “si chiede chi l’ha messa lì e perché ce la fanno stare” e “oooh, che paura che mi fa, Varriale” sono entrate nell’uso comune.
E il precedente con Mosca
Non era la prima volta che Zenga litigava in diretta tv con un giornalista. Quindici anni prima aveva addirittura telefonato in diretta al Processo del Lunedì per dirne un paio a Mosca, reo di aver diffuso su Telelombardia dei rumor su una sua presunta lita coi compagni nello spogliatoio citando come fonte un anonimo dirigente dell’Inter.
“Come al solito Maurizio Mosca dimostra tutta la sua poca correttezza e slealtà dicendo ‘un dirigente dell’Inter’. Se hai il coraggio, fai il nome di questo dirigente”. Netta la replica di Mosca: “Zenga ha detto delle parole da querela! L’educazione la insegno io agli altri”. Il tutto reso ancora più surreale da un goffissimo e fallimentare tentativo di mediazione di Biscardi.
Lo schema di Plasmati
La lite contro Varriale era stata preceduta da una partita vinta per 3-2 contro il Torino passata alla storia anche per un’altra ragione. Durante una punizione di Mascara, infatti, i giocatori del Catania andarono a formare una seconda barriera dietro quella posta dal Torino. Tra di loro anche Gianvito Plasmati, attaccante da una manciata di gol in Serie A, che si abbassò i calzoncini mostrando le terga al portiere granata. Non è dato sapere quanto il gesto abbia influito sulla buona riuscita della punizione, ma certamente le polemiche non mancarono. Fu costretto a intervenire addirittura Collina, all’epoca designatore degli arbitri di A, per dire che sì, il gesto non era proprio il massimo della sportività, ma a termini di regolamento era lecito.
A Palermo “per vincere il campionato”
Nell’estate del 2009, Zenga accettò la chiamata di Zamparini. All’epoca aveva 49 anni, ma in Italia era poco più che un esordiente, e si presentò a Palermo con un mix di ambizione, sfacciata sicurezza nei propri mezzi, pura e arrogante follia. “Io voglio vincere il campionato. Io-voglio-vincere-il-campionato. E i miei giocatori saranno mentalizzati per vincere il campionato. E basta”.
Non arrivò il primo scudetto, ma il primo esonero, quello, sì. Eppure col senno di poi 4 vittorie 5 pareggi e 4 sconfitte nelle prime 13 giornate non sono nemmeno così male. Solo anni dopo, a Calciomercato L’Originale, Zenga fece la parafrasi di quella dichiarazione: “A Palermo non ho detto ‘Io voglio vincere il campionato’. Ho detto ‘Noi, quest’anno, vogliamo vincere il campionato, il nostro campionato’. Perché l’anno prima il Palermo era arrivato ottavo e tutti dicevano che aveva fatto una stagione straordinaria. Però – spiega – arrivando ottavi, si faceva il preliminare di Coppa Italia del 15 di agosto. Il Palermo veniva da due eliminazioni consecutive nel preliminare di Coppa Italia del 15 agosto. Allora io dissi: vogliamo vincere il campionato, cioè ‘vogliamo fare meglio dell’anno scorso’“.
La barba finta
Dopo cinque anni passati tra Arabia Saudita ed Emirati Arabi, Zenga tornò in Serie A nell’estate 2015 per allenare la Sampdoria. Dopo aver perso 4-0 in casa col Vojvodina nel preliminare di Europa League, la squadra partì benissimo, mettendo insieme 10 punti nelle prime cinque giornate di campionato.
Zenga andava in panchina con un cappellino personalizzato con le sue iniziali sulla tempia, un paio di occhiali che gli davano un’aria da intellettuale, e una barba così geometricamente perfetta e così innaturalmente rossa da sembrare disegnata. A svelare il mistero sarebbe stato il suo barbiere: “Quando giocava gli facevo i capelli, ma gli anni passano per tutti. Così ora viene e mi chiede la barba. Non una normale, ma tinta con l’hennè, alla moda degli arabi”. Era evidente che gli anni passati tra Al-Nassr e Al-Nasr l’avevano segnato ben al di là dell’esperienza calcistica.
La lite con Ferrero
Il rapporto con Ferrero fu breve e tormentato. Partito nel peggiore dei modi con la figuraccia di Europa League, si ruppe all’improvviso in maniera anche piuttosto inspiegabile stando ai risultati. Ha ragione Zenga quando dice che alla Samp stava facendo cose normali, con 4 vittorie, 4 pareggi e 4 sconfitte dopo 12 partite di campionato, e un piccolo rallentamento dopo una partenza eccellente.
Ferrero, però, si era evidentemente convinto che quello non fosse il suo mestiere, ed ebbe modo di dirlo l’estate successiva: “Ora sì che fa il suo lavoro – commentò vedendolo in tv – la Rai gli faccia un lungo contratto”. “Autoesonerati, torna a fare cinema”, la replica di Walter Zenga. Ora, però, sembra tutto a posto, Ferrero ha detto che quell’esonero fu un errore, Zenga ha confermato che si sentono spesso. Perché Walter è un istintivo, ma non serba rancore.
Il rischio di finire all’Isola dei famosi
Il seguito della carriera di Zenga è tutto un retrocedere, firmare rescissioni consensuali e lettere di licenziamento. A Crotone subentrò dopo 15 giornate con la squadra quintultima e finì in B per tre punti tra le polemiche dopo un tardivo tentativo di rimonta (“chissà perché alla fine vincono tutte”). A Venezia è saltato dopo 19 partite con 5 vittorie, 7 pareggi e 7 sconfitte.
In un questo impressionante climax discendente, alla fine del 2019, hanno iniziato a rincorrersi i gossip su una sua possibile partecipazione all’Isola dei Famosi. Un’ipotesi smentita seccamente con un video: “Ci tengo a dire che queste notizie discreditano la mia figura professionale. Mi ritengo un uomo, prima di tutto, una persona seria, e soprattutto mi ritengo un allenatore capace, che ha la personalità e la professionalità per fare la propria professione in maniera serena e totalmente con la passione e con la dedizione che merita una professione del genere”. In quegli stessi giorni sembrava potesse arrivare la firma con l’Udinese, ma non se ne fece nulla.
La sensazione di essere incompreso
Il fatto è che Walter Zenga sembra vivere nella costante condizione di sentirsi un incompreso. Le sue idee di calcio hanno attecchito meglio all’estero che in Italia, dove la critica è stata durissima nei suoi confronti e gli insuccessi non sono mancati. Ma Zenga non ha dubbi su ciò che vuole dalla vita: “Vivo il mio lavoro al cento per cento, quando alleno mi sveglio anche la notte e mi metto a studiare determinate situazione di gioco”, ha detto alla Gazzetta dello Sport. Purtroppo, come ebbe a dire alla fine degli anni 90, “il calcio è una giungla: ti leccano i piedi fino a quando sei il re e ti girano le spalle non appena scendi dal trono”. E un po’ di ragione, in fondo, ce l’ha.
La lunga attesa per una domanda a Domenica Stadio
Così è tornato a fare quello che sa fare meglio: aspettare. Lo fa da una vita, lo faceva anche quando giocava. Stava per lunghi minuti fermo nella sua area ad attendere che il pallone passasse dalle sue parti per diventare protagonista e dare sfogo al proprio talento strafottente. Lo fa, da una vita, con l’Inter, che ha lasciato nel 1994 e non ha più riabbracciato. Lo ha fatto persino quella volta lì, dopo una partita a Foggia, al microfono di Alberto D’Aguanno a Domenica Stadio.
Loro due spazientiti e agitati ad attendere il collegamento col rischio di perdere il volo per Milano, mentre dallo studio prima Tosatti e poi Bagni si intrattenevano per lunghissimi minuti con Eriksson intervistato a Genova da Francioso. Il fuori onda è una piccola galleria di capolavori: “Francioso, vai a fa i telefilm va!”; “Ma no, ma Salvatore Bagni!”. Eppure, insofferente e infastidito, Walter Zenga aspettò. Giunto il suo turno salutò educatamente tutti, poi si sentì rivolgere la parola da Bagni: “Walter, ciao. Volevo dirti, sai che oggi sembravi il portiere della Nazionale?”.